Sinistri e rassicuranti: i poteri forti

Su “I poteri forti” di Giuseppe Zucco

di / 4 maggio 2021

Copertina di I poteri forti di Giuseppe Zucco

In L’età della febbre (a cura di Alessandro Gazoia e Christian Raimo, 2015), la tradizionale perlustrazione di metà decennio condotta da minimum fax nel campo della narrativa italiana, compariva soltanto un racconto di un esordiente. Quell’esordiente si chiamava Giuseppe Zucco, quel racconto si intitolava “Il prodotto interno lordo”, ed era con ogni probabilità il migliore di tutta la raccolta, o quantomeno il più visionario.

Già in quella prima prova, Zucco mostrava una qualità assai preziosa per un autore, e cioè il coraggio di fidarsi della propria immaginazione. Infatti, se a tratteggiare una situazione ai limiti dell’assurdo son buoni in tanti, molti meno sono coloro in grado di percorrerla fino in fondo, di costruire da uno spunto clamorosamente fantasioso una storia solida, che abbatta il confine tra realtà e interiorità.

Tutto può essere una storia, e ogni storia può raccontarci. Pare essere questo il filo conduttore che ha guidato la scrittura di Giuseppe Zucco negli ultimi anni, in principio nella raccolta Tutti bambini (Egg, 2016), poi nel primo e incerto tentativo di romanzo (Il cuore è un cane senza nome, minimum fax, 2017), adesso in questo I poteri forti (NN Editore, 2021), che segna il ritorno dell’autore calabrese alla forma racconto. Forma racconto che non è necessariamente forma brevissima, se si considera che l’opera è costituita da cinque scritti che vanno dalle ventisei pagine di “I poteri forti” alle quaranta di “Giuditta”.

Ma cosa sono i poteri forti? Zucco trasla l’espressione tanto cara ai cospirazionisti – che solitamente identifica la trama ordita da lobby invisibili e fortissime – a una dimensione interiore che ci muove nel mondo, spesso in maniera inconscia.

Non ci sono “disegni più grandi” a manovrarci, sembrano voler suggerire questi racconti, siamo sempre noi, i soli in grado di trasgredire o aderire alle nostre stesse aspettative.

Eppure i personaggi di queste storie, almeno in partenza, non sembrano intenzionati a cogliere questa rivelazione. I poteri forti che li scavano nel profondo lavorano indisturbati, inchiodandoli a un regime di insoddisfazione e mediocrità più facile da ricondurre a un colpevole “esterno” (una moglie spaventosa, il lavoro, un violento aguzzino).

La passività dei protagonisti – tutti uomini, quasi tutti tra i trenta e i quarant’anni – viene trasfigurata in una forma di orrore quotidiano che in qualche modo li rassicura e li assolve.

«Lui non aveva mai tradito sua moglie. Non ne aveva il coraggio».

«E siccome più passavano le notti, più il viso di sua moglie s’illividiva, s’imbruttiva, acquisendo un’aria sadica, e rivelando che qualcosa andava montando inesorabilmente, lui si scoprì codardo, e tanto ignobile, e divenne sempre più accondiscendente verso sua moglie».

«Si accomiatò da se stesso sapendo che sua moglie sarebbe presto riuscita lì dove la sua codardia non gli avrebbe permesso di rivolgersi un’arma contro o di fissare il vuoto da un cornicione».

E così, in “Giuditta”, capita che il desiderio di un uomo di evadere dal suo matrimonio, anche per il tempo di una scappatella, venga fustigato dalla maschera mostruosa della moglie addormentata, e dalla convinzione che lei lo voglia uccidere.

Zucco combina con efficacia reale e surreale, sogno e veglia, per tracciare i confini di uno spazio altro nel quale i personaggi e le loro fantasie possono finalmente venire a contatto (“Quarant’anni”, una favola che riprende il bestiario di Il cuore è un cane senza nome), il più delle volte in senso conflittuale (“La pietanza”, disperato tentativo di nutrire una redenzione ormai tardiva).

Non tutti si mostrano rassegnati o inermi. C’è anche chi prova un colpo di coda per sfuggire al proprio destino, come accade in “Un ramo spaccato in due”.

Ma la volontà di un individuo può rivelarsi più forte del potere forte del conformismo che dimora in ognuno di noi, e che trova comode sponde in quello degli altri?

«Poteva cambiare lavoro, città, continente, la sua ombra l’avrebbe seguito comunque».

«Qualcosa della sua vita precedente, una vita più ottusa, e meno limpida, ma calda e rassicurante, lo richiamava a sé».

L’autore parrebbe scettico a riguardo: per quanto in ogni racconto compaia una relazione sentimentale travolgente tra un lui e una lei che turba la stasi iniziale dei personaggi, l’amore sembra essere un potere instabile, o almeno non sufficientemente forte per prevalere del tutto sul resto.

Prima o poi, nel partner affiora sempre una faccia nascosta, spaventosa, ma questo lato oscuro non è altro che una proiezione delle paure di chi sta guardando («vergognandosi per lui, alla fine provò vergogna per se stessa»).

Supportate da una scrittura finemente decorata di immagini, queste cinque storie affascinano per la loro capacità di rivelarci, ora con contorni grotteschi, ora con tono fiabesco, che l’orrore non alberga nello sconosciuto, ma nel fin troppo conosciuto.

Noi siamo il nostro nemico. E non lo ammetteremo mai.

 

(Giuseppe Zucco, I poteri forti, NN Editore, 2021, 176 pp., euro 17, articolo di Martin Hofer)
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