Come si diventa una donna gelata

Sul nuovo libro di Annie Ernaux

di / 14 giugno 2021

La donna gelata di Ernaux

C’è a volte, nell’infanzia, un modello scontato e sbagliato di quali siano o debbano essere i ruoli dell’uomo e della donna, nella famiglia e nella società, in cui le donne sono immaginate come «fate dalle mani dolci, aliti leggiadri della casa»; un archetipo che ignora la forza, la semplicità e talvolta la necessità delle donne di parlare ad alta voce, avere le mani ruvide, poter essere scarmigliate. È da questa immagine distorta che ha inizio La donna gelata (L’Orma editore, 2021) di Annie Ernaux, bambina degli anni Quaranta che non trova riscontro dentro casa – vivendo con la madre, ascoltando nonne e zie, confrontandosi con le donne della propria famiglia – delle idee che aleggiano fuori, nelle case delle amiche, a scuola, per le strade della provincia francese.

È anzi proprio grazie alla madre, alla suddivisione delle competenze e delle preoccupazioni con il padre, ai piccoli gesti che due genitori compiono l’uno verso l’altro e, insieme o separatamente, verso la figlia, che questa cresce attraverso dubbi meravigliosi, si forma affacciandosi sul mondo attraverso i libri e crea senza rendersene conto il legame tra la bambina del passato, la ragazza che la segue e la donna del futuro, oggi del presente, in grado di andare oltre ogni stereotipo e di ragionare sul superamento dei ruoli imposti e sugli ideali di uguaglianza.

«Come avrei potuto, vivendo accanto a lei, non essere persuasa della magnificenza della condizione femminile, o persino della superiorità delle donne sugli uomini? Mia madre è la forza e la tempesta, ma anche la bellezza, la curiosità per il mondo, l’apripista sulla strada verso il futuro, che mi dice di non aver mai paura di niente e di nessuno».

Ancora una volta Annie Ernaux va oltre la difficoltà di raccontare se stessa per raccontare tutte le donne, riesce a condividere i passaggi tradizionali della vita di ciascuna – l’ingenuità dell’infanzia, la curiosità dell’adolescenza, le avventure timide, la maturità spaventosa – permettendo a ogni lettore e a ogni lettrice di potersi immedesimare o discostare, di stupirsi di quello che scopre e non conosceva o di specchiarsi nelle stesse idee, nelle analoghe esperienze.

Gli anni della crescita non sono solo quelli dei confronti con le amiche e della scoperta dei corpi, sono anche influenzati dalla poesia, dalla bellezza, dalla filosofia – da Kant, da Prévert, da Baudelaire, da Camus –, ma soprattutto sono accompagnati da parole decisive e da pensieri che contribuiscono alla formazione della donna che la Ernaux diventerà e che scrive oggi: quelli di Simone De Beauvoir, che gettano dubbi sul desiderio, sull’amore e sul matrimonio, che non chiariscono ma confondono su cosa si dovrebbe volere, che tuttavia illuminano quasi inconsapevolmente consentendo di formarsi e di riconoscersi.

Ma la fase più controversa e più piena di interrogativi sembra essere quella che precede il matrimonio e la vita in comune, il passaggio dall’essere una persona unica, con le proprie abitudini e libertà, al diventare parte di qualcosa di più grande e talvolta di più bello, ma che implica rinuncia, trasformazione, abbandono necessario di un pezzo di sé. Il surrealismo non è più quello che si studia all’università o che si sa riconoscere nei quadri, surrealiste sono le abitudini che diventano accasamento, la dolcezza che sa di malinconia, l’impossibilità di riconoscersi e una nuova forma di accettazione di sé, di quello che si è voluto o forse no, necessariamente di quello che comunque si è diventati.

«Sono finiti senza che me ne accorgessi, i miei anni di apprendistato. Dopo arriva l’abitudine. Una somma di intimi rumori d’interno, macinacaffè, pentole, una professoressa sobria, la moglie di un quadro che per uscire si veste Cacharel o Rodier. Una donna gelata».

 

(Annie Ernaux, La donna gelata, trad. di Lorenzo Flabbi, L’Orma editore, pp. 192, euro 17, articolo di Francesca Ceci)

 

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