Le mille e una notte

“Apeirogon” di Colum McCann

di / 22 giugno 2021

Apeirogon di McCann

Provare a raccontare e condensare Apeirogon di Colum McCann (Feltrinelli, 2021, traduzione di Marinella Magrì) è come tentare di riportare le Mille e una notte a una mezza mattinata, o se si preferisce è come definire un lato di quel poligono dai lati infiniti che è l’apeirogon stesso. Del resto, in arabo la parola milleuno indica in un certo senso l’infinito. E la connessione con i racconti di Mille e una notte non è casuale. Ma andiamo con ordine.

L’operazione che muove McCann in questo romanzo ibrido è quella di rappresentare le sfaccettature infinite del conflitto israelo-palestinese, una realtà in continuo divenire, come purtroppo sappiamo bene dalle cronache quotidiane. La trama di Apeirogon sarebbe piuttosto semplice: Rami Elhanan, pubblicitario israeliano, nel 1997 perde una figlia – Smadar tredicenne – per un attentato kamikaze palestinese; Bassam Aramin, ex terrorista palestinese pentito, dieci anni dopo nel 2007 perde una figlia – Abir decenne – per un proiettile di gomma sparato da un giovane militare israeliano.

I due si ritrovano insieme in Combattenti per la Pace, un’organizzazione che ha come scopo quello di risolvere pacificamente la questione israelo-palestinese. Girano il mondo per raccontare la tragedia che li ha uniti, per esprimere il dolore che non si è trasformato in vendetta, perché la vendetta è una spirale senza fine, che non restituisce i morti alla vita. Il loro dolore è speculare e, come diceva Borges, «bastano due specchi l’uno di fronte all’altro per formare un labirinto».

McCann fa proprio questo. Nella vicenda di Rami e Bassam si addentra come in un labirinto. Avanza per associazione di idee, torna indietro, ripercorre varie volte corridoi già battuti e cerca elementi nuovi. Il romanzo è frammentato, consiste in 1001 paragrafi che progrediscono all’inizio da 1 a 500 per poi regredire da 500 a 1. Alcuni sono brevi quanto una frase, altri comprendenti fotografie alla W.G. Sebald, altri ancora semplicemente spazi vuoti (un riflesso di uno dei teoremi matematici che stanno alla base del romanzo). Torna il numero milleuno, come le notti di Sharazad, «uno stratagemma per la vita di fronte alla morte». E in questi paragrafi, che ricordano le schegge di una granata, svettano muri, checkpoint, strade divise, perfino orari sfasati di un’ora a distanza di pochi metri e poi l’incomunicabilità, l’incomprensione, la propria verità sbraitata in faccia all’altro. Rami e Bassam invece indossano il loro dolore contro l’odio, e per assurdo troveranno nelle loro genti i più acerrimi nemici.

Per tutta la narrazione McCann squaderna ogni dettaglio, lo viviseziona, fino a cercarne l’atomo originale. Segue gli stormi di uccelli che proprio su Israele hanno le loro principali rotte di migrazione. Poi rivede le morti di Smadar e Abir da ogni prospettiva. Sembra un ricercatore che passa al microscopio più e più volte il vetrino, e tutte le volte ci fa scoprire un elemento nuovo. Lo stesso fa con Rami e Bassam, ricostruisce le loro biografie passo per passo in un puzzle che spetta al lettore ricomporre. Rami, un israeliano che è contro l’occupazione; Bassam, un palestinese che studia la Shoah. È negli incroci delle loro esistenze, negli incroci del caso, della Storia che si rompono i cliché, perché «niente è mai un cliché mentre lo stai vivendo».

E poi c’è quella terra martoriata. Già, perché «qui la geografia è tutto». Il romanzo si apre con le colline di Gerusalemme immerse nella nebbia e si chiude con quelle di Gerico avvolte nell’oscurità, in un cerchio che alla fine è la rappresentazione geometrica dell’apeirogon. Terra sacra per tutte le grandi religioni monoteiste figlie di Abramo che qui si combattono da millenni.

McCann riesce in un’impresa complessa, direi epica, cioè di riuscire a narrare i fatti, a tracciare dei personaggi, a avere la precisione del saggista, a sperimentare strutturalmente senza mai perdere l’intensità della tragedia.

Da un lato, la morte di Smadar mentre camminava col suo walkman e ascoltava Nothing compares 2U di Sinéad O’Connor, a tredici anni – e per uno scherzo del destino suo padre Rami, anni prima aveva lanciato una campagna pubblicitaria con la foto di sua figlia che campeggiava per tutto il Paese: «Come sarà la vita in Israele quando Smadar avrà quindici anni?», e a quei quindici anni non c’è mai arrivata. Dall’altro, la morte di Abir uscita un attimo da scuola per comprarsi le caramelle. Caramelle infilate in un bracciale che suo padre indosserà a lungo finché sarà fermato a un checkpoint israeliano proprio perché ha quel braccialetto: credono sia esplosivo mascherato in caramelle.

Al romanzo di McCann si potrebbe obiettare che il suo è un ambizioso progetto di proporre una «cura», di tentare una «guarigione» per mezzo della parola al conflitto israelo-palestinese. Gli si potrebbe sollevare che lui è uno straniero, che non sa niente se non quello che ha studiato per il libro e ciò che gli hanno raccontato Rami e Bassam. Si potrebbe dire che era desideroso di risolvere, civilizzare e rivendicare; con tutte le buone intenzioni, ma che in realtà potrebbe risultare profondamente dannoso. Sono obiezioni che gli sono state sollevate in alcune recensioni. Anch’io, da principio, mi chiedevo come potesse raccontare e riportare al lettore quelle ferite, quelle divisioni, quel vivere tra muri e checkpoint. Poi ho capito che da irlandese, invece, di muri e divisioni ne capisce eccome. I muri sono tutti uguali, da Berlino a Belfast, passando per il Messico fino a Gerusalemme. Non c’è un copy sui muri e sulle divisioni.

McCann fa una grande operazione, con grande onestà intellettuale, con certosina pazienza di deflagrazione e ricostruzione, di frammentazione e ricomposizione. In ogni universo assoluto ci sono i Rami e i Bassam che rendono relativi quegli universi, ché l’apeirogon con i suoi infiniti lati è diverso a seconda dell’inquadratura da cui lo osservi. Riesce così a rendere in parola e romanzo quel che l’occhio osserva nel caleidoscopio.

E alla fine, con tutto il dolore e la potenza di un’esplosione, quando chiudi il libro sull’oscurità delle colline di Gerico, ti ronza nelle orecchie la frase che Bassam dice al giovane soldato israeliano che ha sparato e ucciso sua figlia: «Sei tu qui la vittima. Non io».

 

(Colum McCann, Apeirogon, trad. di Marinella Magrì, Feltrinelli, 2021, 528 pp., euro 22, articolo di Fernando Coratelli)

 

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