«Piegare e allineare la realtà»
A proposito di “Trust” di Hernan Diaz
di Alberto Paolo Palumbo / 2 novembre 2022
Nel suo pamphlet Il realismo è l’impossibile (nottetempo, 2013) Walter Siti scrive che «la narrazione fittizia ci offre un cosmo e non un caos, una realtà controllabile e finita» che risulta essere sempre «il frutto di una selezione». La narrazione è secondo Siti un gioco in bilico tra verità e menzogna in cui si vuole dimostrare che «quello che sto narrando è vero e posso provarlo – o perché l’ho vissuto io personalmente, o perché ho documenti che lo certificano». Lo scrittore è consapevole di coinvolgere il lettore in un esercizio di fiducia in cui ciò che è scritto può essere preso per vero o meno. È su questa premessa che si basa Trust (Feltrinelli, 2022), secondo romanzo di Hernan Diaz, autore già noto in Italia per Il falco (Neri Pozza, 2018), con cui arrivò in finale al Pulitzer.
Trust è incentrato sul personaggio di Andrew Bevel, un uomo che grazie al suo fiuto per gli affari è riuscito a costruire il più grande impero finanziario di New York. La sua storia viene inizialmente raccontata in Fortune, un romanzo nel romanzo scritto da Harold Vanner negli anni Cinquanta; questo libro, però, sembra mettere in cattiva luce la vita di Bevel, il quale decide di assumere Ida Partenza, figlia di un tipografo e anarchico italiano, per farle scrivere la sua autobiografia. Anni dopo, Partenza, ormai anziana e scrittrice affermata, torna alla casa di Bevel in 87th Street fra Madison e Fifth Avenue, ora diventata un museo, per intraprendere una ricerca sull’uomo e sua moglie Mildred. Quello che scopre è che molto probabilmente Bevel le ha raccontato una sua personale versione della verità, e che forse l’artefice del suo successo è proprio quella moglie che ha cercato di ridimensionare nel racconto della sua storia.
Hernan Diaz ci presenta, dunque, un vero e proprio gioco di prospettive che ricorda Esercizi di fiducia (Sur, 2021) di Susan Choi, dove la stessa storia viene raccontata da diversi punti di vista che si contraddicono tra loro. Nel romanzo di Choi a essere narrato era un abuso sessuale, qui si tratta invece di raccontare la verità attorno al successo di un uomo e alla sua relazione con la moglie, ma in entrambi i testi è centrale il rapporto fra narrazione, realtà e potere.
La natura del romanzo di Diaz si può comprendere già dal titolo. “Trust”, infatti, non solo è un fondo fiduciario, ovvero una parte di patrimonio che il beneficiario affida a un gestore, ma anche il verbo inglese che significa “fidarsi”. Considerando questi due aspetti, Diaz frammenta la verità attorno alle vite di Andrew e Mildred Bevel e le affida a vari narratori – Harold Vanner, Ida, e gli stessi Andrew e Mildred – e ai lettori, che gestiscono queste schegge di vita facendole proprie, cercando di raggiungere un’autenticità che sarà sempre incompleta, poiché essa è il risultato della volontà di chi narra e legge di «piegare e allineare la realtà».
Il primo che cerca di controllare la realtà è, appunto, Harold Vanner, uno scrittore che si scoprirà essere in un certo senso legato a Mildred e alla sua attività filantropica. Mosso molto probabilmente dall’invidia e dall’insuccesso, Vanner scrive con Fortune un roman â clef in cui nei personaggi di Benjamin e Helen Rask si riconoscono Andrew e Mildred Bevel, che vengono descritti attraverso le categorie del destino e della provvidenza:
«Quasi tutti preferiamo credere di essere i soggetti attivi delle nostre vittorie, ma solo gli oggetti passivi delle nostre sconfitte. Trionfiamo, ma in realtà non siamo noi a fallire – ci rovinano forze che sfuggono al nostro controllo».
Secondo Vanner, se Benjamin/Andrew ha avuto successo come finanziere è stato per una serie di coincidenze e intuizioni avvenute al momento giusto, e non per un talento innato per gli affari. Per lui, inoltre, Benjamin Rask si è arricchito soprattutto speculando sul fallimento finanziario dei suoi concorrenti, dimostrandosi, dunque, un abile truffatore. L’amore per Helen risulta essere il frutto di un incontro fortuito fra due solitudini che ha in un certo modo accresciuto il potere e l’influenza di Rask. Benjamin viene insomma visto da Vanner come una sorta di individuo cosmico-storico di hegeliana memoria, una pedina del destino che una volta assolto il suo compito viene abbandonato a sé stesso. Vanner, infatti, scrive che con la morte di Helen «la sua [di Benjamin] aura mistica era svanita. Il genio che aveva trovato il profitto dove tutti gli altri avevano trovato la rovina era scomparso. Il tempo di Benjamin Rask, si diceva, era finito».
Una narrazione provvidenziale, ovviamente, non può che urtare una persona come Andrew Bevel, che rimarca a Ida l’invidia di Vanner per via del suo mancato successo come scrittore:
«Dopo alcuni romanzi di moderato successo, circa dieci anni fa è caduto in disgrazia. I suoi libri non hanno venduto. Beveva. Dipsomania, pare. La solita storia squallida. E poi, poco dopo la morte di mia moglie, ha iniziato a scrivere questa cosa. L’aveva incontrata, Mildred, qualche volta. In società. In maniera superficiale. Come tante altre persone. Credo che in una di quelle occasioni abbia conosciuto anche me».
Con la sua autobiografia Bevel vuole dimostrare non solo quanto sia un abile uomo d’affari – e dunque non un truffatore –, ma anche quanto sia stato un marito amorevole nei confronti di Mildred, cosa che in Fortune non traspare, anzi: il libro sembra associare la presunta malattia mentale di Helen al sempre maggiore allontanamento di Benjamin e alla sua ossessione per il denaro. Andrew ci tiene invece a raccontare come Mildred non sia morta per una malattia mentale causata dal suo egoismo, ma per via di un cancro, e quanto lui sia oltretutto stato premuroso con lei, anche nel permetterle di coltivare le sue attività filantropiche a sostegno di scrittori e musicisti.
Andrew dà indicazioni a Ida su cosa scrivere e cosa omettere, rimarcando dunque l’idea di voler piegare la realtà a sua immagine e somiglianza. «Qualunque cosa», sostiene Bevel, «il passato ci abbia trasmesso, spetta a ciascuno di noi cesellare il proprio presente dal blocco informe del futuro». Per scrivere l’autobiografia dell’uomo, poi, Ida deve rimaneggiare frasi e dettagli allo scopo di rendere la sua vita il più possibile accessibile al lettore medio. Quello che farà non sarà consegnare un racconto autentico, ma «la voce che lui desiderava avere, la voce che voleva sentire». La donna contribuisce così a creare un’immagine falsa di Bevel e di sua moglie.
La chiave di tutto, però, sembra essere il personaggio di Mildred. Questa aveva raccontato la sua vita in alcuni diari che Ida, ormai diventata un’anziana scrittrice di successo, ritrova nella casa-museo di Bevel, che va a visitare molti anni dopo aver scritto e ultimato la biografia del misterioso finanziere. Leggendo i diari, Ida capisce quanto l’immagine che sia Andrew che Vanner hanno dato della donna sia infantile, paternalistica e annacquata, il prodotto di una visione maschilistica della realtà dove la donna viene vista come comprimaria, «proprio come le mogli nelle autobiografie degli uomini celebri che leggevo in quel periodo per mettere a punto la voce di Bevel».
Ciò che nota Ida leggendo i diari di Mildred è che la sua grafia risulta difficile da decifrare. Con le sue annotazioni piene di abbreviazioni e simboli molto probabilmente frutto di una certa stanchezza causata dalla malattia, questa aggiunge in realtà degli elementi importanti attraverso cui Ida può comprendere al meglio la storia attorno al personaggio di Mildred. La donna racconta come lei e Andrew fossero complementari, e che «lui ha capito che senza il mio aiuto non sarebbe mai stato capace di reggere il mito che si creava attorno a lui». Andrew, quindi, appare come un pupazzo che parla e agisce attraverso il ventriloquo Mildred, che si intesta le intuizioni finanziarie che hanno portato il marito al successo.
Mildred, inoltre, racconta come i due non si amassero veramente, e come fossero uniti soltanto in materia di affari. La donna, però, sembra smascherarsi da sola nel momento in cui afferma che «un diarista è un mostro: la mano che scrive e l’occhio che legge appartengono a corpi diversi». Mildred più volte tradisce la sua incapacità di essere autonoma a causa della malattia e della morfina che riceve durante il suo ricovero in Svizzera. Anche la verità di Mildred, dunque, è frutto di una manipolazione e di una volontà di controllo della realtà, e rende ancora più misteriosa e incompleta l’intera storia.
Con Trust, inserito nella longlist del Booker Prize 2022, Hernan Diaz ha creato un intricato gioco metanarrativo, che ci illustra come più sembra vero ciò che narriamo più probabilità ci sono che sia falso; in parallelo, più qualcosa suona falso più si dimostra paradossalmente vero. Narrare qualcosa di sé e degli altri significa mettere in gioco logiche di potere, sentimenti di rivalsa e rancore volti a piegare la realtà, che contribuiscono a rendere più labile il confine fra autenticità e menzogna.
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