“Principessa Mononoke” di Hayao Miyazaki

di / 8 maggio 2014

Quando nel 1997 Principessa Mononoke arrivò nelle sale giapponesi non erano in molti ad aspettarsi l’enorme successo di pubblico che avrebbe raccolto. Eppure nel giro di poche settimane il film di Hayao Miyazaki e del suo Studio Ghibli si impose come film più visto al cinema della storia del Giappone, superando E.T. per essere sorpassato poche settimane dopo da quel fenomeno internazionale che fu Titanic.

In Italia Miyazaki era sconosciuto al grande pubblico. Lo sarebbe rimasto fino a La città incantata e alla pioggia di premi che tra il 2001 e il 2003 gli vennero tributati tra Los Angeles, Venezia e Berlino.

Nel 2000, la Buena Vista provò a portare nelle sale italiane Principessa Mononoke contando sul grande successo che il film aveva riscontrato sui mercati internazionali. Fu un fallimento.

Ora, nel 2014, Lucky Red ha deciso di ridistribuire in sala il catalogo di Miyazaki, con nuove versioni e doppiaggi. Principessa Mononoke è stato ritradotto e ridoppiato per rendere il senso tutt’altro che rivolto ai bambini che la prima edizione aveva vanificato. Ed è uno spettacolo.

Venendo ai fatti: siamo nel periodo Muromachi della storia giapponese, tra il XIV e il XVI secolo. In un villaggio orientale, il principe Ashitaka viene ferito e maledetto da un cinghiale posseduto da un dio malvagio per salvare il suo villaggio. La maledizione non può essere curata, in nessuno modo, ma il principe decide di partire verso le foreste dell’Occidente per capire cosa abbia trasformato la bestia in un demone di malvagità. Scoprirà che il Bosco del Dio Bestia, santuario in cui vive il dio degli animali e della natura, è minacciato dall’avanzata della Città di Ferro, avamposto siderurgico al confine della foresta in cui la reggente Lady Eboshi progetta un piano per conquistare la natura e le province occidentali del Giappone. Ashitaka si trova in mezzo a una disputa tra uomini e natura, convinto di dover e poter aiutare tutti, soprattutto San, chiamata la Principessa Spettro, ragazza abbandonata dagli uomini e cresciuta dai lupi, prima che la maledizione che lo ha colpito lo travolga.

Mononoke non è un nome proprio. In lingua giapponese indica uno spettro vendicativo con sfumature non rendibili in italiano. È quello che è San; non uno spettro, ma un essere mosso da vendetta che si muove e appare come un fantasma agli occhi degli uomini. Ha giurato agli umani un odio eterno incapace di esaurirsi per come hanno trattato la natura, per come l’hanno sconvolta, dimenticando di essere umana a sua volta, dimenticando le necessità della vita dell’uomo. Perché gli abitanti della Città di Ferro non sono crudeli né avidi. Non distruggono il bosco del Dio Bestia per sete di ricchezze, ma solo per la loro sopravvivenza. Lady Eboshi che li guida protegge le donne e accoglie i feriti, è rigida e giusta, non una malvagia in senso tradizionale.

Perché non c’è la distinzione classica tra buoni e cattivi in Principessa Mononoke. Dominato dalla maledizione, Ashitaka è capace di violenze brutali; la natura schiacciata, che sia San o i cinghiali orgogliosi che attaccano la Città di Ferro sotto la guida del vecchio Okkoto, aggredisce gli uomini, li travolge e uccide per avere vendetta, e gli dei animali possono trasformarsi in malvagità pura e distruttrice. Il male è ovunque, ogni cosa può trasformarsi in morte se minacciata e la natura non è culla o fonte passiva di risorse ma riflesso della violenza che subisce, malvagità possibile di oranghi che vogliono la guerra e di dei pacati che esplodono di eterea distruzione. È qui che Miyazaki spiazza, inserendosi nei grandi, e classici, temi della narrazione e della mitologia e scardinandone i consueti punti di riferimento a cui viene affidato il racconto. Sono tutti buoni, in Principessa Mononoke, tranne i monaci avidi guidati da Jiko-Bo, ma il male è sempre possibile come reazione. E nel rapporto con la natura l’uomo si guarda e capisce se stesso, i suoi errori, i suoi limiti, le sue stesse origini.

Film di assoluta e splendida potenza, spiazzante e lontano dall’immaginario disneyano di rassicurante bellezza della natura, Principessa Mononoke è un capolavoro di tecnica, una riflessione animata sul rapporto tra uomo e ambiente che contiene in sé molti dei temi abituali del cinema di Miyazaki declinati in una forma epica che guarda allo shintoismo e alla natura animistica del Giappone e che lascia lo spettatore incapace di prendere parte, pronto a simpatizzare e a comprendere per tutti, senza condannare, senza giudicare.

 

(Principessa Mononoke, di Hayao Miyazaki, 1997, animazione, 134’)

 

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