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“Gomorra” di Roberto Saviano e Mario Gelardi

di Luca Errichiello / 8 gennaio

«La camorra non esiste», gridava qualcuno, mentre Roberto Saviano, dal palco della piazza di Casal di Principe, sosteneva che «verità e potere non coincidono mai». Proprio la necessità di dare una forma, una concretezza alla camorra, ha portato lo scrittore a esporsi personalmente e a necessitare poi di una scorta. Questa stessa necessità ha prodotto anche svariati spettacoli teatrali, tra cui spicca Gomorra, tratto dall’omonimo libro di Saviano. Ivan Castiglione veste bene i panni di Roberto, che affianca amici e compagni d’infanzia nella loro iniziazione alla droga, allo spaccio, alle armi, alla camorra. Sfilano sul palco i personaggi e le scene più noti del romanzo di Saviano, in mezzo a una selva di pilastri di cemento, di travi cadenti, che rimandano continuamente all’abuso edilizio e morale che il territorio campano ha subito negli ultimi trent’anni. Ernesto Mahieux, nel ruolo dell’abile sarto costretto a fornire la propria opera per pochi denari anche quando cuce l’abito di Angelina Jolie per la notte degli Oscar, offre una prova convincente e completa, facendo comprendere le radici dello sfruttamento e della sudditanza nei confronti del camorrista di turno. La rabbia ambiziosa di Pikachu (Francesco Di Leva), l’innocente superficialità di Kitkat (Adriano Pantaleo) rendono possibile una momentanea immersione nella società che ha dato vita a Gomorra, una società tradita da uno Stato troppo distante e fatuo per far fronte al pervasivo Stato camorristico.

Sembrerebbe che i compiti della rappresentazione della camorra siano stati assolti. Eppure il teatro potrebbe offrire qualcosa di più, oltre la narrazione dei fatti, per quanto crudi e spiacevoli questi possano essere. La camorra è manifestazione dell’uomo, della sua rabbia violenta, ma anche del suo infimo interessarsi solo a sé in quanto semplice animale di zona. La camorra è così intimamente intrecciata con l’uomo da non poterne essere escissa come una cisti qualsiasi, per quanto tenace la si possa immaginare. La camorra è un’atmosfera, una proposizione d’intenti mai esplicitata con parole. In questo senso la camorra non esiste. E forse è proprio l’impalpabilità il carattere più pervicace della camorra. Come rappresentare dunque questa non esistenza? Come rappresentare questo sottinteso della società? Sorge il dubbio che la parola possa non essere il metodo migliore. Sorge il dubbio che le storie, “i meccanismi”, possano essere narrati dal giornalismo, ma che forse il teatro possa avere l’ambizione di rappresentare ciò che parola non è, eppure esiste. Il teatro che narra fatti troppo spesso sfocia nel didascalico. La parola di Roberto, contraria alle violenze dei suoi compagni, rimane senza contraltare, intransitiva. La risposta degli altri personaggi sarà immancabilmente «Robè, ma che cazzo vuoi?». Linguaggi diversi a confronto. La parola che si arresta dinnanzi all’incomprensibile. Il teatro potrebbe essere dunque la risposta: un teatro che sa liberarsi delle “storie da narrare”, delle scenografie che rappresentano il particolare, dei personaggi che rievocano vite circolari, che nascono e finiscono in sé. Il gesto, l’immagine, l’emozione pura, gli elementi non strutturati dell’uomo, in cui latita la violenza camorristica, i sogni indicibili dei puri, la sofferenza senza pace dei malvagi, potrebbero essere i colori di un affresco colmo di suoni, ma con pochi significanti. Un teatro come quello di Gomorra invece sa ben narrare storie, senza tuttavia riuscire a dipingere la natura a-verbale dell’uomo.

 

Gomorra
di Roberto Saviano e Mario Gelardi
regia Mario Gelardi
con Ivan Castiglione, Francesco Di Leva, Giuseppe Gaudino, Giuseppe Miale di Mauro, Adriano Pantaleo, Ernesto Mahieux.
scene Roberto Crea
costumi Roberta Nicodemo
musiche Francesco Forni
video Ciro Pellegrino

Andato in scena dal 16 al 26 dicembre 2011 al Nuovo Teatro Nuovo di Napoli.