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“L’aventure des Stein” al Grand Palais di Parigi

di Jacopo Benedetti / 20 gennaio

Grazie a una proroga dovuta all’altissima affluenza, è possibile visitare ancora per pochi giorni (fino al 22 gennaio) la mostra, ospitata al Grand Palais di Parigi, sulla collezione degli Stein, illuminata famiglia di mecenati americani (di origine ebraica) stabilitisi a Parigi a partire dai primi del 900.

Sin dalla prima sala si è in grado di farsi un’idea piuttosto precisa della rilevanza delle opere esposte, o meglio ancora sin dalla primissima tela, un quadro di piccole dimensioni di Cézanne, “Les Baigneurs, grand planche”, caratterizzato da un tratto veloce e dalla solita proverbiale cura delle ovattate volumetrie.

A questo fanno seguito altri lavori dell’artista di Aix-en-Provence sullo stesso soggetto e, subito dopo, alcuni dei famosissimi studi di Degas sulle ballerine colte nelle più dissimili e fortemente innaturali pose.

Passando poi alla seconda sala, dopo essersi lasciati alle spalle alcune copie originali di testi che, per un verso o per l’altro, hanno giocato un ruolo importante nella vita e nella formazione della grande famiglia di collezionisti (come un’edizione del 1902 di La varietà dell’esperienza religiosa: uno studio sulla natura umana dello psicologo e filosofo William James, del quale Gertrude Stein seguì alcuni corsi al tempo dei suoi studi di medicina e psicologia), possiamo godere della sensualità della grande tela di Bonnard “La sieste”, raffigurante una ragazza distesa a pancia in sotto su un letto, dormiente e all’apparenza estremamente rilassata, i cui glutei e le cui gambe sono delicatamente lambiti dalla luce che penetra da una finestra che ci è dato solo immaginare.

Altre rappresentazioni femminili presenti sulla stessa parete sono “Nu bleu” di Matisse – figura dalla corporeità prominente – e “Grand nu allongé au coussin jaune” di Vallotton, una donna la cui serena levigatezza è resa ammiccante dall’espressione e dal morbido gesto del braccio abbandonato al bordo del letto.
Sulla parete opposta vi sono poi alcune magnifiche opere di Picasso: l’enorme e solenne tela “Meneur de cheval nu” – dove sembra regnare una misteriosa fissità mista a un assoluto e spettrale silenzio; il rarefatto, malinconico e cupo “Nu assis” e la straordinaria “Femme à l’eventail”, una figura dalla gestualità magica ed ermetica, dal profilo di un’inumana e quasi iconica rigidità e dalla posa magnetica capace di ammaliare anche ad una rapidissima e lontana occhiata.
Si arriva così ai coloratissimi e luminosi “Etude de femme chouchée” di Henri Manguin e “La gitane” di Matisse, per giungere quindi a quell’esplosione di vitalità che è “La femme au chapeau” sempre di Matisse – la cui donna in questione possiede però uno sguardo nostalgico (o forse semplicemente annoiato) che in qualche modo si oppone all’estrema vivacità della tavolozza.

Nella terza sala troviamo invece una serie di interessanti inchiostri su carta di Matisse e Picasso e l’attenzione è presto richiamata dagli strani e seducenti volumi e proporzioni delle figure di quest’ultimo.

Di notevole impatto sono poi, a mio parere, “Garcon à la bouteille de lait” (ancora Picasso), lavoro – i cui colori ricordano il già citato “Nu assis” in cui la condizione di miseria del soggetto ritratto sembra essere sottolineata con immensa partecipazione emotiva; la grande tela di Marie Laurencin “Apollinaire et ses amis”, un tripudio di eleganti linee curve; il ritratto meditabondo di Allan Stein eseguito sempre da Picasso e quello di Matisse dal titolo “Autoportrait”, in cui dominano tinte bluastre che illuminano l’espressione attenta e quasi severa dell’artista francese.

Le ultime sale del piano, quasi interamente dedicate a Matisse (di cui gli Stein furono grandi amici nonché primi e appassionati compratori) ci presentano – dopo “Femme assise au fichu”, ennesimo personaggio picassiano dall’atteggiamento malinconico e stanco – una serie di sfavillanti dipinti a olio su tela (soprattutto nudi) del maestro del fauvismo, in alcuni dei quali le figure tendono fortemente a confondersi con lo sfondo.

Per quanto riguarda Matisse segnaliamo ancora, continuando, “Paysage d’automne. La foret de Fontainebleau”, tela dai colori fortemente contrastanti (dominano il giallo degli alberi di mimose e il rosa del resto della vegetazione) e dal segno delicato e sinuoso; “Buffet et table”, febbricitante e rigogliosa opera puntillista, tripudio di luce, colore e “joie de vivre”; lo spigoloso ritratto di Michael Stein, dalle tinte terrose e dalla frontalità quasi perfetta; il grande olio su tela“Le thé dans le jardin”, con la luce che, filtrando attraverso gli alberi, crea grosse chiazze luminose in terra; e infine, in mezzo a opere di qualche suo allievo – nel 1908 Sarah Stein lo incoraggia infatti ad aprire un’accademia – gli interessanti “Nu debout. Le modèle”, la cui inquadratura leggermente dal basso rende l’immagine spiccatamente statuaria, e “Homme nu”, entrambi eseguiti con colori grigiastri, violacei e verdastri.

La parte conclusiva dell’esposizione, al piano inferiore, è invece una mastodontica carrellata (unita a qualche sporadico intervento di altri autori) di opere delle varie fasi della produzione di Picasso (anche lui molto legato agli Stein).

Una prima sezione è dedicata al rapporto di intima amicizia tra lui e la scrittrice d’avanguardia Gertrude, amicizia suggellata dal ritratto che egli realizza nel 1906 ispirandosi a un altro dipinto, anch’esso presente in mostra, “La femme de l’artiste dans un fauteil” di Cézanne.

Gertrude è raffigurata da Picasso seduta, con le mani sulle ginocchia e l’aria pensosa, in una stanza dallo sfondo quasi indistinto; le viene affiancato il dipinto (solo di un anno più tardo ma stilisticamente lontano anni luce) scelto per pubblicizzare l’evento, ovvero “Nu à la serviette”, un ritratto di donna dall’anatomia e dai lineamenti radicalmente semplificati e distorti sul genere, per intenderci, di “Les Demoiselles d’Avignon” di cui, tra l’altro, gli Stein acquistano diversi studi qui esposti, importanti testimonianze di una fase precubista dello spagnolo, all’inizio poco compresa dai più.

Si passa così alla penultima sala, dedicata al periodo cubista dell’artista di Malaga, dove spiccano “Buste de femme (Fernande)”; la composizione a grandi tasselli di diversi colori “Homme à la guitare” nel quale, in linea col proclamato spirito di decostruzione radicale e di frammentaria ripetizione di oggetti sotto differenti prospettive, è decisamente difficile distinguere sia l’uomo che la chitarra in questione; e il più che mai affine “Femme à la guitare”, articolato assemblaggio di varie forme tra le quali è possibile intravedere, all’apparenza unico spunto antropomorfico, l’accenno di un sorriso.

L’ultima sala è infine dedicata al post-cubismo e al “neo-romanticismo” e ospita lavori come quelli di Juan Gris, Picabia (ad esempio “Les Acrobates”, tela che sa di omaggio al Picasso dei soggetti circensi, ma dove vi è un gusto per contorni decisamente più marcati) e, dulcis in fundo, la scultura in bronzo di Jo Davidson raffigurante, ancora una volta, Gertrude Stein seduta a gambe incrociate e rappresentata come estremamente corpulenta, veicolante una fisicità quasi monovolumetrica.


Matisse, Cézanne, Picasso… L’aventure des Stein
Parigi, Les Galeries nationales du Grand Palais
fino al 22 gennario 2012