Flanerí

Cinema

“Sin City – Una donna per cui uccidere” di Frank Miller e Robert Rodríguez

di Francesco Vannutelli / 30 settembre

Ci sono voluti nove anni per convincere Robert Rodriguez a richiamare Frank Miller e preparare il secondo capitolo di quel Sin City che nel 2005 aveva sorpreso critica e pubblico ponendo un nuovo standard nell’immaginario cinematografico collettivo. Nel frattempo, i passi falsi, in termini di incassi, sia di Miller (The Spirit) che di Rodríguez (il progetto Grindhouse; il secondo capitolo della serie di Machete), e il dubbio su quale albo scegliere per continuare a trasportare sul grande schermo la Basin City di Frank Miller hanno rallentato il progetto. Alla fine i due registi hanno deciso di puntare principalmente su Una donna per cui uccidere, secondo volume della serie pubblicato per la prima volta a puntate a partire dal 1993. Attorno al Kadies Club di Sin City si muovono varie storie e vari strati di umanità. Marv siede impaziente al bancone in attesa di qualcuno con cui venire alle mani, mentre sul palco la spogliarellista Nancy medita vendetta contro il senatore Roark che ha fatto uccidere il suo amore di sempre, il detective Hartigan. Non è la sola; anche Johnny, un giocatore d’azzardo arrivato da fuori città, ha un conto in sospeso con il senatore. E poi c’è Ava (che non si sa bene perché nel doppiaggio italiano diventa Eva), la donna per cui uccidere, che dà appuntamento a un vecchio amore che non vede da quattro anni, il fotografo Dwight, per supplicarlo di liberarla da un marito violento.

Sono quattro i capitoli che si intrecciano in Sin City 3D: “Solo un altro sabato sera, “Quella lunga, brutta notte”, “La grossa sconfitta” e appunto Una donna per cui uccidere che dà il titolo all’intero film. È, quest’ultimo, senza dubbio l’episodio più interessante, oltre a essere quello a cui viene concesso più spazio. E il merito è solo della donna, di Ava Lord, femme fatale manipolatrice che ha il volto, e il corpo soprattutto, di Eva Green. È lei la novità più felice di questo secondo capitolo di Sin City, l’unico personaggio, assieme al monumentale Marv di Mickey Rourke, concentrato di violenza e pazzia, a essere davvero memorabile. Lo sanno, Miller e Rodríguez, e ci insistono senza ripensamenti, mostrando porzioni abbondanti di pelle, concedendosi i maggiori virtuosismi registici nel riprendere la donna (il tuffo speculare in piscina, sviluppato in orizzontale), insistendo con le esplosioni di colore che sono diventate il tratto distintivo nel bianco e nero del film per sottolinearne la sensualità. Eva Green, come già in 300: L’alba di un impero (e secondo un’abitudine piuttosto consolidata nella sua carriera sin dall’esordio con Bertolucci), si mostra senza pudori e diventa femmina letale e irresistibile. La verità, però, è che le novità di questo secondo capitolo funzionano molto meno del primo Sin City. Perché il giocatore interpretato da Joseph Gordon Levitt non offre un contributo sostanziale in termini di carisma: parte bene, con la giusta dose di arroganza da biscazziere, ma poi si perde, sfuma, anche perché la divisione in capitoli scelta da Miller e Rodríguez lo abbandona per un lungo periodo.

A non funzionare in Una donna per cui uccidere è proprio il ritmo narrativo, lo spessore di un racconto non all’altezza delle immagini mostrate. Il primo Sin City riusciva in un equilibrio, proprio dell’opera di Miller, tra azione e scrittura, giocando con rimandi alla letteratura noir e hard boiled e pescando a piene mani da stereotipi e retorica funzionale alla costruzione di un mondo. In questo secondo capitolo sembra non ricercarsi un livello di scrittura per affidarsi piuttosto all’azione pura e semplice, a inseguimenti scazzottate e sparatorie. Certo, la qualità visiva dello spettacolo è elevatissima, con un contributo tecnico enorme, retto interamente da Rodríguez che si occupa anche di fotografia e montaggio (e della colonna sonora), che riesce a innovare i già innovativi presupposti di Sin City e ad adattare il 3D allo stile fumettistico di Miller, trasformando il bidimensionale in tridimensionale e dando nuova profondità alla città e ai suoi protagonisti. Il punto però è che superata la confezione impeccabile, e tralasciando Ava Lord, niente riesce a lasciare il segno. Così, nessuno degli episodi funziona realmente, tra sottotrame accennate e momenti che vanno oltre l’uso sapiente degli stereotipi per riproporre invece dinamiche piatte e convenzionali (soprattutto nell’episodio di Nancy/Jessica Alba). Il clamore che Sin City aveva suscitato alla sua uscita nel 2005 lascia ora il posto all’inevitabile riconoscimento della suprema qualità tecnica ed estetica di Una donna per cui uccidereche non si accompagna a niente se non a una sensazione di già visto, di già sfruttato. Però fa piacere rivedere Christopher Lloyd al cinema in un breve, splendido, cameo.

(Sin City – Una donna per cui uccidere, di Frank Miller e Robert Rodríguez, 2014, noir, 102’)