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Libri

Edizioni e/o: a tu per tu con Claudio Ceciarelli

di Antonio D’Ambrosio / 30 luglio

Per fornirvi un panorama più chiaro su Edizioni e/o, abbiamo intervistato Claudio Ceciarelli, editor di narrativa italiana. Dopo le esperienze iniziali presso Theoria e Einaudi Stile Libero, Claudio ha mollato tutto per lavorare nell’editoria indipendente. Ci ha spiegato cosa fa in casa editrice, cosa pubblica e/o, ma – ahinoi – nemmeno lui sa chi sia Elena Ferrante.

Allora, Claudio, come sei approdato a Edizioni e/o?

Il mio lavoro nell’ambito editoriale è iniziato con la casa editrice Theoria, che ai tempi – parliamo dei primi anni Novanta – insieme a e/o era a Roma una delle realtà editoriali di riferimento. Successivamente ho trascorso un periodo abbastanza lungo presso Einaudi Stile Libero, da cui mi sono dimesso nel 2005. Dopo un anno sabbatico mi sono rivolto a Sandro Ferri che conoscevo da molto tempo. Gli chiesi una collaborazione e così è nato tutto.

Che differenza c’è tra lavorare in una casa editrice media qualè e/o, e lavorare in una casa editrice grande e mainstream come Einaudi Stile Libero, sebbene questa mantenga dei tratti più indipendenti?

Di fatto è una casa editrice a parte. Quando nacque, nel ’96, il progetto iniziale era di fare una ventina di titoli l’anno. Poi, da venti titoli, in pochi anni si è passati al triplo. A quel punto è diventata davvero una casa editrice a sé, cambiando la filosofia della collana, che era nata come tentativo di svecchiamento del pubblico einaudiano, quindi era attenta ai giovani, alle nuove tendenze, costumi, atteggiamenti culturali.

In fin dei conti era anche una collana spregiudicata: basti pensare ai “Cannibali”, un po’ anomali rispetto al resto del catalogo einaudiano.

Esattamente. Il primo successo fu proprio l’antologia Gioventù cannibale che riuscì a orientare i gusti del pubblico (e degli autori stessi) nel periodo successivo. Tornando alla tua domanda sulla differenza tra casa editrice grande e medio-piccola: in base alla mia esperienza, all’interno della grande casa editrice non c’è mai stato un tentativo censorio (della serie: pubblicare un autore piuttosto che un altro). Berlusconi, gran capo del gruppo Mondadori, è stato un editore liberale da questo punto di vista. Ma ogni anno c’è stata una pressione crescente sul fatturato, sul raggiungimento degli obiettivi, per cui i libri alla fine non erano altro che una merce come tante. Se un anno si era sotto del 20% rispetto al budget previsto, diventava necessario pubblicare titoli magari “di seconda scelta” per recuperare il fatturato perduto. Il progetto iniziale ne è uscito inevitabilmente snaturato. Poi, per rispondere sempre alla pulsione al fatturato della casa madre, si abbracciò la filosofia del bestseller a tutti i costi, che non era però nel Dna di Stile Libero: se prendi come esempio Gioventù cannibale, è stato a tutti gli effetti un bestseller, ma lo è diventato “in corso d’opera” e col passaparola, non era affatto programmato che lo fosse. Quindi, per quello che ho vissuto, posso dire che nella grande casa editrice vige un’ossessione economico-finanziaria maggiore rispetto alla piccola o media che, quando pubblica in un anno i suoi 3/4 libri che vendono un po’ di più e con cui si sta in piedi, è soddisfatta. E, quando si ha a disposizione qualche soldino in più, è ancora più contenta se riesce a mettere sul mercato un libro che si sa in partenza che non venderà tanto, ma che rimane comunque un bel libro.

A proposito di bei libri, nel saggio I ferri dell’editore, Sandro Ferri dichiara che e/o pubblica solamente romanzi che apprezza. Quali caratteristiche dovrebbe avere uno scritto per piacerti tanto da dire: «Lo pubblichiamo»?

Innanzitutto i gusti di Sandro Ferri e Sandra Ozzola non sono imprevedibili, sono semplicemente molto ampi e variegati, sia rispetto ai romanzi più “popolari” e bassi, sia rispetto a quelli “alti”. Non hanno problemi nel pubblicare un libro “facile” se a loro piace, e non temono di pubblicare un libro che,o per scrittura o per struttura, è indirizzato a lettori forti, con una ristretta previsione di vendita. Per quanto mi riguarda, io cerco di star dentro a questo ampio range di scelte, ma tieni presente che il mio ruolo è quello di lavorare con gli autori sui libri di cui si è già decisa la pubblicazione. Può capitare comunque che venga chiamato dagli editori a dire la mia quando sono in disaccordo su un titolo italiano, divenendo l’ago della bilancia. E capita anche che io stesso suggerisca loro delle proposte che poi vengono da loro accettate.

Quindi l’attività di scouting viene gestita dagli editori?

Un buon 80-90% dell’attività di scouting è gestita da loro. Io faccio per conto mio attività di scouting con una forte autocensura a monte, perché certi libri so per certo non rientrano nella loro linea editoriale. Mi adatto al loro gusto, cosa che non mi è difficile perché come dicevo i loro gusti spaziano molto, perciò i libri di cui mi occupo mi piacciono, con pochissime eccezioni di cui non faccio nomi per non dispiacere a nessuno. Cerco comunque di dare sempre il mio meglio con ogni libro. Lavorare con l’autore e il suo testo d’altronde è la parte del lavoro che mi piace di più.

Puoi dunque dirti soddisfatto della tua scelta lavorativa.

Sì, faccio un lavoro che mi piace in un ambiente molto sereno. Quest’ultimo aspetto è da non sottovalutare, perché per esempio la situazione a Stile Libero era diventata molto difficile per me. Lì il mio ruolo (oltre che lavorare su alcuni testi) consisteva nel fare da cinghia di trasmissione tra Roma e Torino, rispondendo dei tempi di consegna dei romani, in perenne ritardo rispetto ai desiderata dei torinesi. Non ci dormivo la notte, ero sull’orlo dell’esaurimento nervoso. Mi toccava fare il mastino nei confronti delle persone che mi avevano chiamato a lavorare (i romani). Ero comunque diventato l’uomo di fiducia dei torinesi, che avevano visto in me una persona affidabile. Insomma, ero come don Abbondio, un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro. A e/o, invece, la situazione è molto più facile da gestire. Tuttora alcuni colleghi dell’Einaudi mi danno del pazzo, ma c’è anche chi ha capito le mie ragioni. Tra l’altro, dopo anni di collaborazione, ero proprio alle soglie dell’assunzione, cosa non facilissima in Einaudi. Col senno di poi ho fatto bene. Ma ovviamente sono sceso a compromessi: non ci ho guadagnato in termini economici, ma almeno faccio ciò che mi piace.

Ritornando alla casa editrice, e/o indica sia le due congiunzioni che esplicitano una possibile alternativa, sia “est/ovest”. Che rapporto ha instaurato e/o tra la letteratura dell’est e quella dell’ovest fino a oggi?

Dunque, seguendo lo sviluppo storico della casa editrice, e/o ha iniziato battendo proprio sull’est. Le notizie sui Paesi d’oltrecortina all’epoca non arrivavano, era difficile portarle fuori dalle loro realtà; e/o ha portato in Italia la letteratura russa, la letteratura ungherese, autori importanti come Hrabal, Christa Wolf e tanti altri. Quando la situazione tra est e ovest si è normalizzata e gli editori si sono affezionati al confronto delle culture, hanno cominciato a sondare letterature e mondi che prima avevano trascurato in nome dell’istanza primaria di portare l’est a ovest. Hanno perciò iniziato a frequentare letterature minoritarie come quella cubana e sudamericana, poco battute dai grandi editori. Quindi, anche avvicinandosi alla cultura occidentale, hanno operato delle scelte mai all’insegna del gioco facile. Anche per la letteratura americana hanno proposto autori particolari, non affermati ma che erano narratologicamente all’avanguardia. E questa è stata la loro libertà in quanto editori, hanno sempre dato mostra di grande coraggio e coerenza.

Tu sei un editor di narrativa italiana. Qualè la differenza con un editor di narrativa straniera?

L’editor di narrativa straniera è sostanzialmente uno scout, che sceglie testi già pubblicati nella lingua originale e quindi già editati. Questa accezione di editor come scout non c’è nell’idea di editor che lavora su un testo. Solo nei (rari) casi in cui l’edizione originale non è particolarmente ben curata, ha un lavoro diverso. Ovviamente l’attività di scouting segue la politica editoriale della casa editrice. L’editor di narrativa italiana può sia essere uno scout sia lavorare sul testo. Per quanto riguarda me, come ti dicevo, l’80% del mio lavoro ha a che fare col testo.

Una prospettiva sull’ebook?

Senza avere aspettative miracolistiche, se dovessi fermarmi a questi primi anni di ebook, non sarei molto ottimista per l’Italia: i nostri numeri rispetto al mondo anglosassone sono pressoché ridicoli. Però si tratta di numeri in crescita. Bisogna considerare un dato fondamentale: in Italia si sono persi dei lettori, che hanno abbandonato il cartaceo non passando all’ebook, e si è ridotto lo zoccolo duro dei lettori forti, quelli che leggono 2 o 3 libri al mese. L’ebook per me può essere (non è detto comunque che lo sarà) il cavallo di Troia per entrare nei gusti e nelle abitudini della generazione 2.0. Ma ovviamente un conto è giocare con la PlayStation o smanettare su un tablet, un altro leggere un libro. E qui si potrebbe fare un bel discorso sulle politiche scolastiche di incoraggiamento alla lettura, ma te lo risparmio. Fossi un preside comprerei degli e-reader insegnando ai ragazzi a sfruttarli al massimo, perché ben utilizzato l’ebook è fantastico. Insomma, ciò che vedo è un segmento di mercato in crescita, ma non in maniera stravolgente (spero di essere smentito presto). È una crescita lenta e faticosa, però pur sempre una crescita, che porterà delle modifiche anche nel cartaceo, il quale dovrà tener presente dell’esistenza del libro elettronico.

Infine, una provocazione. Ritornando al saggio I ferri dell’editore, rimane impressa la metafora che usa Sandro Ferri per descrivere i suoi autori: li paragona a una squadra di calcio. Quali sarebbero gli 11 autori che costituirebbero la tua squadra?

È una domanda alla quale fatico a risponderti per una deformazione professionale e anche morale. Come ti dicevo prima, di fronte ai libri di cui mi occupo, che mi piacciano o no come lettore, da un punto di vista professionale cambia poco o nulla. Spesso mi capita di lavorare con più impegno su un libro che non mi piace proprio per contrastare la tendenza “da lettore” – che va assolutamente tenuta fuori. Potrei essere l’allenatore di più di una squadra, a seconda del ruolo che svolgo (lettore o editor). Ma è complicato. Infatti, si tratta di persone con cui sono diventato amico, anche se i loro romanzi non erano i miei preferiti. Una scrittrice che sicuramente inserirei nella mia squadra è Elena Ferrante, che persino io non so chi sia. Come tanti vorrei vederla in viso e farle tante domande.

Questo penso sia l’interrogativo che affligge tutti i lettori e/o.

Sicuramente. Qui, a parte gli editori che hanno tenuto duro, nessuno lo sa. Nemmeno chi ci lavora insieme. Il ruolo della Ferrante? Centravanti di sfondamento. Però non proseguo per non fare torti a nessuno.