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Cinema

“Quel fantastico peggior anno della mia vita”
di Alfonso Gomez Rejon

Un commedia indie piena di amore per il cinema

di Francesco Vannutelli / 8 dicembre

Negli Stati Uniti, tra i vari generi di commedie, negli ultimi dieci-quindici anni hanno conosciuto un particolare tipo di apprezzamento le commedie indie, quei film indipendenti non solo dal punto di vista produttivo ma anche caratterizzati da un animo e da un’estetica precisa che mette insieme umorismo e malinconia, spesso legate a momenti di crescita o comunque di passaggio, ancora più spesso incentrate su protagonisti disadattati o quantomeno stravaganti. Si sa, senza stare a fare inutile storia del cinema, che Little Miss Sunshine è il film fondamentale di questo filone. Partito dal Sundance Film Festival – casa ideale per grande parte di questo genere di commedie – l’opera prima della coppia di registi  Jonathan Dayton e Valerie Faris arrivò nel 2006 a incassare più di cento milioni di dollari e riuscì a portarsi a casa due premi Oscar (su quattro nomination) per la sceneggiatura di Michael Arndt e per Alan Arkin come miglior attore non protagonista.

Quel fantastico peggior anno della mia vita, opera seconda di Alfonso Gomez Rejon, potrebbe avere un destino simile. È partito dal Sundance dello scorso gennaio conquistando il premio della giuria e quello del pubblico per il miglior film statunitense, e se ne parla già in prospettiva Oscar, almeno per la sceneggiatura (non originale).

Il titolo originale, Me and Earl and the Dying Girl, introduce senza mezze misure tutta la trama del film. “Me” è Greg, il protagonista, un ragazzo all’ultimo anno di liceo, assolutamente non integrato nella sua scuola ma capace dopo anni di allenamento di risultare gradevole a ognuno dei gruppi sociali in cui si riuniscono i suoi compagni. Earl è il suo migliore amico con cui coltiva la passione per il cinema europeo e l’hobby di realizzare omaggi/parodie dei grandi classici con mezzi artigianali e titoli di semplice genialità (A Clockwork Orange diventa A Sockwork Orange, con protagonisti dei calzini, tanto per dirne uno, e tutto sommato anche il titolo originale del film ammicca un po’ a Me and You and Everyone We Know). La “Dying Girl” è Rachel, coetanea e compagna di scuola a cui è stata diagnosticata la leucemia. Greg viene obbligato dalla madre a farle compagnia. Nascerà dalla forzatura un’amicizia vera che non sboccerà mai in amore.

All’interno del genere “commedia indie” da qualche tempo si è affacciato un nuovo sottogenere: la cancer comedy, quel genere di commedia che ha tra i protagonisti almeno un malato di cancro e racconta con una certa leggerezza il quotidiano della malattia come percorso di crescita di chi soffre e di chi sta vicino. Alcuni titoli: 50 e 50L’amore che resta di Gus Van Sant, Colpa delle stelleQuel fantastico peggior anno della mia vita si infila perfettamente in questo sottogenere. In fondo, racconta la crescita di Greg attraverso l’amicizia con Rachel, la sua presa di coscienza su come il suo modo di vivere sia sbagliato e su come sia necessario smuoversi, uscire dal guscio per affrontare davvero il mondo, senza mimetizzarsi per piacere a tutti.

Detta così, sembra di essere di fronte a un filmetto già visto tante volte, tutto tormenti di adolescente loser, sofferenze e cose così. A fare la – relativa – differenza ci pensano il tema della malattia, con la crescita di Earl che passa per il confronto quotidiano con l’amica malata, e soprattutto la spudorata cinefilia dei protagonisti che si trasmette a tutto il film. Siamo di fronte a una mole di citazioni inarrestabile, a un continuo gioco metacinematografico di tecniche e stili, di linguaggi e suggestioni che mette insieme Wes Anderson, Martin Scorsese, Werner Herzog, François Truffaut e soprattutto Be Kind Rewind – Gli acchiappafilm di Michel Gondry da cui è presa l’idea dei remake artigianali. Omaggiando (o copiando) in continuazione i grandi registi, Alfonso Gomez Rejon riesce a creare un suo stile che funziona. Nei tre protagonisti, poi, ha trovato una bella alchimia che funziona (i nomi sono Thomas Mann – sì, come lo scrittore – per Greg, RJ Cyler per Earl, Olivia Cooke per Rachel).

Il limite, magari, di Quel fantastico peggior anno della mia vita è di voler essere strano a tutti i costi, quindi calca la mano sui personaggi, soprattutto sugli adulti che proprio non riescono a funzionare. È come se per poter essere davvero indie a tutti i costi ci debbano essere personaggi disfunzionali ovunque. Non è detto che sia necessario, e che soprattutto sia un bene.

(Quel fantastico peggior anno della mia vita, di Alfonso Gomez Rejon, 2015, commedia, 104’)

LA CRITICA - VOTO 7/10

Variazione del sottogenere cancer comedyQuel fantastico peggior anno della mia vita riesce a trovare una nuova strada per la commedia indipendente in stile Sundance attraverso un ricorso massiccio alla nostalgia cinematografica.