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Varia

“Porcile”
di Pier Paolo Pasolini

«Non posso dirti chi amo ma non è questo che interessa»

di Federica Imbriani / 26 febbraio

Porcile, scritto da Pasolini nel 1966 e trasposto nel 1969 nel film omonimo, è il racconto in undici episodi dell’autodistruzione di Julian Klotz, incapace di sopravvivere nella Germania del dopo nazismo, in cui una borghesia porcina gestisce una democrazia appena riscoperta ma, ancora troppo piccola e spaventata per riconoscere l’altrui libertà di vivere secondo i propri istinti.

A Bad Godesberg nel 1967, periodo delle prime manifestazioni studentesche in Germania, il venticinquenne figlio unico «né ubbidiente né disubbidiente», erede della famiglia Klotz, ha uno scialbo rapporto con la petulante Ida, che lo ama non ricambiata. Con lei intrattiene un rapporto vuoto e rigurgitante di espressioni senza senso, fughe dal reale e misteri con i quali, stralunato e misterioso, scatena ora il riso ora l’ira della giovane. Altrettanto inconsistenti sono i rapporti familiari del ragazzo con suo padre, Herr Klotz, e sua madre, disperati e incapaci di resuscitare il figlio dallo stato di abulia paralizzante in cui esiste senza vivere.

Binasco afferma che i rapporti familiari e affettivi sono il cardine della sua lettura di Porcile al punto che si percepisce il tentativo di spogliare il dramma di ogni senso politico così che anche la ricerca ossessiva di Ida di un ruolo all’interno del movimento di contestazione assume i connotati di una fissazione capricciosa, vuota di senso, e le ripetute allusioni al passato nazista di alcuni dei personaggi sono perdonabili trascorsi. Il Porcile di Binasco fugge altresì la lettura dell’opera come manifesto sul contrasto generazionale, piuttosto si offre come dramma dell’inconfessabile, della vergogna, del pregiudizio. La tragedia di Julian.

Anche nella Germania di Bonn, che fabbrica solo lane, formaggi, birra e bottoni, ogni cosa può essere, infatti, perdonata, anche la «raccolta di crani di commissari bolscevichi ebrei per ricerche scientifiche all’università di Strasburgo». Il “criminale” è infatti una forma del “normale”, mentre la zooerastia di Julian, per quanto il ragazzo sia un innocente, non lo è. È una vergogna superiore allo sterminio degli ebrei, e deve essere condannata al silenzio anche quando si mangia da sola, si autodistrugge, senza lasciare alcuna traccia visibile di sé. Il tema del disgusto sessuale supera qualunque ragionamento sulla giustizia e l’ingiustizia.

Julian non è niente, non è un disobbediente, non è un eroe, non è un martire – se non di se stesso – e per questo è capace di incarnare le domande di oggi. Binasco da una lettura parziale del dramma per sua stessa ammissione, lo depotenzia, come accennato, scaricandolo di alcune possibili letture e sfuggendo la tentazione di approfittare nella messa in scena della mancanza di didascalie nel testo teatrale. Eppure Binasco, con la collaborazione di un gruppo di attori ben affiatati, riesce a rendere perfettamente comprensibile la sua interpretazione, la tenerezza con cui guarda al «povero Cristo» che, con i pugni stretti e lo sguardo fisso nel vuoto, è del tutto insensibile a chi lo circonda.

«Che cosa immensa e curiosa il mio amore. Non posso dirti chi amo ma non è questo che interessa. Mai, oggetto di passione amorosa è stato così infimo (per dir poco). Ciò che conta sono i suoi fenomeni; la profonda deformazione che esso ha causato in me che non è degenerazione sia chiaro».

Porcile

di Pier Paolo Pasolini
regia di Valerio Binasco
con Mauro Malinverno, Valentina Banci, Francesco Borchi, Elisa Cecilia Langone, Franco Ravera, Fulvio Cauteruccio, Fabio Mascagni, Pietro d’Elia
coproduzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana e Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia con la collaborazione di Spoleto58 Festival dei 2Mondi

Alcune delle prossime date

Roma – Teatro Vascello dal 16 al 28 febbraio
Firenze – Teatro Duse dal 2 al 6 marzo 2016
Siena – Teatro dei Rinnovati 9 marzo 2016

LA CRITICA - VOTO 7/10

Un’interpretazione lineare di un contenuto poetico in forma di dramma che evidenza la necessità di riflettere su quanto borghesia faccia ancora rima con vergogna. Per conservare pietà e tenerezza, questo Porcile resiste alle lusinghe di una messa in scena più audace che alcune scelte di scenografia e il tono sostenuto delle interpretazioni fanno immaginare.