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Libri

Qualsiasi verità sconvolgente sarebbe subordinata alla voglia di conoscersi

L’amore prima dell’amore in Paolo Di Paolo

di Gabriele Sabatini / 1 giugno

Chiunque conosca Paolo Di Paolo sa di trovarsi di fronte a un autore poliedrico, interessato alla critica letteraria, al servizio giornalistico, al dialogo con le voci maggiori della letteratura italiana, e aperto alla letteratura per l’infanzia e al teatro. Non sorprende, quindi, rintracciare i riverberi di queste esperienze nella sua narrativa. Infatti, è il teatro lo sfondo entro cui si muovono i protagonisti di Una storia quasi solo d’amore (Feltrinelli, 2016); è un teatro di quartiere, uno di quei luoghi in cui converge la passione di numerosi dilettanti.

Giovane attore dal talento irrequieto, il protagonista Nino vede affidarsi dalla sua maestra, Grazia, un gruppo di amatori over sessanta, che dovrebbero portare in scena Le false confidenze di Marivaux. La sera, all’uscita dalle prove, ad attendere Grazia c’è spesso sua nipote Teresa. Con un palleggio ottimamente orchestrato fra diversi punti di vista, Paolo Di Paolo racconta l’incontro tra Nino e Teresa, anagraficamente separati da pochi anni, ma culturalmente molto distanti, che cominciano a confrontare le proprie visioni del mondo in un gioco sempre più intenso.

 

«In ogni infanzia, a quei tempi, svettavano ancora le zie… Come fate che esercitano il loro influsso su un’intera vallata senza mai scendervi». Il preludio a Una storia quasi solo d’amore è questa citazione di Walter Benjamin, e proprio su di una zia fai ricadere il compito di narrare la vicenda di Nino e Teresa. Partiamo da qui, da questo gradino di parentela.

 

Diciamo che è stato possibile scrivere il libro solo dopo aver trovato una prospettiva e una voce. Il romanzo cominciava in realtà a pagina 30, di fronte al teatro in cui Teresa avrebbe conosciuto Nino, e lo avevo scritto in una terza persona neutra: «È andata così, con lei che dice: finalmente». Ma non mi convinceva. Ero molto in impasse, ma a un certo punto è venuto fuori l’inizio, quasi come una visitazione poetica durante una notte di febbraio: l’incipit, «Eravate bellissimi». Con quell’incipit era come se io facessi parlare la donna che poi sarebbe diventata Grazia, la zia. E mi sembrava una prospettiva da alimentare, quella di un narratore che da un lato era esterno alla storia e dall’altro complice, implicato. Era un sfida narrativa: rendere possibile, plausibile quell’eravate bellissimi – seconda persona plurale – per tutto Una storia quasi solo d’amore . E la voce della zia è diventata un modo per avere la giusta distanza dalla storia, perché se tu assisti alla storia di due innamorati, e assorbi completamente la loro prospettiva, poggi entrambi i piedi nel sentimentale. La distanza vagamente ironica, e certamente matura, saggia, brusca e tenera allo stesso tempo, di una zia faceva sì che potessi trovare il mix ideale per raccontare questa storia. Ed era difficile per uno scrittore come me, uomo e di un’altra generazione, calarsi nei panni di una sessantenne donna; rendere credibile la voce di Grazia è stata di per sé una sfida.

 

La differenza di età non coinvolge solo autore e narratore, coinvolge anche i protagonisti. Nino e Teresa si trovano ciascuno in un momento fondamentale: per Nino, che è poco oltre la ventina, si tratta dell’ingresso nella vita adulta. Lo affronta con la spavalderia di chi vede riconoscersi i primi meriti, ma resta poco più che un ragazzo, e prova ne sia che una sua importante scelta dipende in realtà da una telefonata della madre a Grazia. Teresa è nell’età del dubbio, ha trent’anni e sente che alcune strade si sono irrimediabilmente chiuse; è incerta sulla piega che sta prendendo la propria esistenza. Forse anche spinta da queste incertezze, difende la propria fede in Dio: è il personaggio dalla personalità più complessa.

 

Io non avevo subito chiaro in mente che ci potesse essere una distanza di età fra Nino e Teresa, ma una storia fra due coetanei mi sembrava meno interessante, quindi ho cominciato a immaginare una distanza di età e volevo fosse rovesciata rispetto al canone. Mi interessava mettere Nino – così apparentemente disinvolto, spaccone – un po’ in difficoltà rispetto a Teresa, che è al limite di un’altra generazione: a differenza di Nino, lei è infatti ancora novecentesca. Credo che noi poco più che trentenni, nelle strutture mentali siamo stati determinati dal Novecento. Ciò è accaduto attraverso le persone che abbiamo frequentato, i libri che abbiamo letto, i film che abbiamo visto. Non dico che oggi questa cosa sia sparita d’un colpo, perché è chiaro che un secolo non muore e si interrompe, però se parli con un ventenne capisci che quelle categorie con cui tu hai fatto i conti – magari anche solo sfiorandole come l’ideologia e la politica – semplicemente non le conosce. Allora era interessante vedere un ventenne e una trentenne in questa ottica. Il fatto che lei sia una ragazza più grande lo mette in imbarazzo, ma tutto sommato ne esalta la fascinazione perché rende Teresa esotica, particolare, come una specie di mondo di cui Nino non ha la mappa. Brusca, burbera, complessa, però attraente fisicamente. E dell’amore volevo mettere a fuoco una cosa, se vuoi ovvia ma sempre sconcertante, e cioè la disposizione verso un essere umano che si stacca da una folla anonima e con cui tu costruisci uno spazio di intimità. Siamo una folla di sconosciuti gli uni agli altri, ma facciamo entrare una persona nella nostra intimità, e con lei prendi una tale confidenza da sembrarti di avercela avuta da sempre, e invece era del tutto innaturale.
Dopo di ciò, però, mi sono interrogato: quale può essere un punto d’attrito massimo che può creare in Nino un turbamento profondo? M’ero immaginato che lei potesse essere una militante politica e sarebbe stato interessante agli occhi di Nino, antipolitico o apolitico. Ma non mi convinceva, perché sarebbe stata anche lei, da trentenne, un po’ fuori norma. Allora mi sono chiesto: se io incontrassi una ragazza che crede, io, così perplesso e dubitante rispetto a quella materia, come gestirei la rivelazione della fede? Allora mi interessava che il rapporto d’amore portasse i due al punto di massima curiosità reciproca. Questa è la cosa meravigliosa dell’amore: la nostra disposizione alla curiosità è estrema, assoluta e non pregiudiziale, quando siamo innamorati. Lei ti potrebbe dire qualunque verità sconcertante e tu la subordineresti alla volontà di conoscere quella persona. Portarli là era l’unica possibilità: Nino doveva innamorarsi per poter accettare la sfida di Teresa.

 

Insomma, c’è la sensazione che sia una storia quasi d’amore nel senso che in realtà l’amore non c’è. Quello che racconti non è la storia d’amore vera e propria, ma il tentativo che la precede. Nino e Teresa hanno entrambi fortissime resistenze e una cieca ostinazione nel voler proseguire. Ma l’inizio di una storia d’amore è anche una faccenda di attrazione fisica e nel romanzo il sesso emerge come un racconto a macchia di leopardo. È molto spesso un sesso consumato male, senza un pieno godimento. Anche la prima volta di Nino e Teresa è così.

 

Io ho immaginato Nino come un ragazzo con meno prudenze di quelle che avevano molti della nostra generazione; non che avessimo chissà quali condizionamenti, però un vago sentore della differenza fra innocenza e colpa, nella materia sessuale, ha inciso. Il solo fatto di accedere alla fonte della pornografia per la nostra generazione era una prova e un limite tra cosa fosse consentito e cosa no; oggi invece basta accendere un tablet. La cosa che mi colpisce molto nelle nuove generazioni, e lo dico da osservatore esterno, non è soltanto l’accesso alla sessualità molto precoce in termini anche di pornografia; la cosa che mi colpisce è la confidenza fra corpi che vedo andando nelle scuole, il fatto cioè di non avere una resistenza, una rigidità che poi si scioglie solo in certi contesti. C’è una fluidità. E allora volevo raccontare un Nino che non s’era mai posto il tema, un po’ come tutto il resto. Non si pone mai il tema per poi arrivare all’empirismo, cosa che sarebbe stata tipica del Novecento, ossia c’è il concetto e poi la realtà e l’esperienza. No, Nino si butta nelle cose, le cose esistono, la vita è lineare. Nino misura l’esistenza rilevandola e quindi non ha né un concetto di assoluto né di relativo, ha soltanto la somma di piccole esperienze. Non che tutti i giovani siano come Nino, ma molti sono come Nino. Teresa, venendo dall’altro mondo, e avendo un condizionamento culturale più forte, ha una sua disinvoltura, ma ha un diverso tipo di atteggiamento. Quindi anche la sessualità fra loro mi sembrava interessante nel momento in cui diventava ancora una volta un attrito tra mondi.

 

In precedenti tuoi lavori ci hai abituati a un confronto fra la vita dei personaggi con i temi della storia italiana, penso al Gobetti di Mandami tanta vita e a Mani pulite e Berlusconi di Dove eravate tutti; in Una storia quasi solo d’amore  i contorni delle vicende politiche si perdono quasi. È presente il clamoroso evento dell’abdicazione di papa Ratzinger, ma è molto sullo sfondo: non ti è mancato trattare un tema di interesse nazionale?

 

M’è mancato, sì, perché comunque amo lavorare con una documentazione anche quando tratto una storia molto vicina, sarà per una iniziale vocazione giornalistica. Però mi sono reso conto di dover essere fedele alla percezione dei due personaggi, e non mi sembrava che questi due fossero così aperti a risentire della vita pubblica, non per colpe, ma solo perché così sono molte persone. L’unica cosa che poteva percepire Teresa era proprio quel passaggio da un papa all’altro, che avveniva in condizioni straordinarie. L’ho inserito perché volevo che il personaggio di Teresa fosse toccato da una cosa epocale; e la reazione di sconcerto di lei è stata comune a molti, non solo tra i credenti. Ma quando si scrive si deve cercare di non farsi prendere troppo la mano da quello che si vorrebbe ci fosse nel libro, si deve forse resistere alla propria irruenza, per fedeltà ai personaggi, e in quel momento la loro storia d’amore è come una camera che ottunde tutto. Però Una storia quasi solo d’amore  non è del tutto privo di una ricerca documentaria, perché è presente una fedeltà meteorologica, quasi da romanzo storico: il dialogo fra Nino e Teresa al centro di Una storia quasi solo d’amore  è ambientato in una sera in cui a Roma pioveva a dirotto, e quella specie di muro d’acqua che c’è fuori dal ristorante è un dettaglio storico. Uno può fare storia anche con la meteorologia e a me questa fedeltà agli eventi dà una fiducia maggiore nella materia di cui narro, perché me la rende concreta. È una questione di presa emotiva, se piove, perché pioveva, io credo di più in quella scena e questo mi dà fiducia, perché se come lettore posso anche abbandonarmi, come scrittore ho maggiori difficoltà. Tutti i miei libri sono infatti nati da un innesco extra-finzionale, diciamo così. Quindi ho cercato di riprendere contatto col terreno della storia partendo da piccoli ma concreti dettagli.

(Paolo Di Paolo, Una storia quasi solo d’amore, Feltrinelli, 2016, euro 15, pp. 176)