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Libri

Un’esistenza ad aspettare

“La Fila” di Basma Abdel Aziz

di Federico Musardo / 12 novembre

«Dopo quasi tre ore arrivò alla coda della fila e prese l’ultimo posto. Si era ormai abbandonato al ritmo dei suoi pensieri. Gettò uno sguardo pieno di sconforto verso la Porta domandandosi se si sarebbe mai aperta, e, da lontano, gli si parò davanti minacciosa e ottusa come un muro sordo».

Basma Abdel Aziz è una psichiatra e un’attivista per i diritti umani e con La Fila (Nero Editions, 2018, ed. or. 2013) esordisce nella narrativa. I capitoli del romanzo,  incominciano tutti allo stesso modo: sei documenti impersonali e asciutti, scritti in un linguaggio burocratico e straniante, ciascuno per ogni capitolo, informano il lettore sulla salute del protagonista Yahya, un uomo colpito da una pallottola durante quelli che l’autrice chiama gli sciagurati eventi, scontri tra i manifestanti e l’Unità antisommossa di difesa della sicurezza, nonché trasposizione letteraria della Primavera araba. Ecco il primo documento:

 

DOCUMENTO N. 1

Dati

Nome: Yahya Gad el-Rabb Said

Età: 38 anni Stato civile: celibe

Luogo di residenza: Area IX – Edificio I

Professione: agente di commercio

In un mondo diffusamente islamico, conosciamo per la prima volta la natura degli sciagurati eventi dalla prospettiva di Tareq, il medico dell’ospedale dove va Yahya sperando di potersi curare, poi logorato dai sensi di colpa per la sua iniziale indifferenza. «Quello che aveva capito è che alcune persone, oppresse dall’intransigente regime che la Porta aveva messo su poco dopo essersi materializzata, avevano protestato». La Porta, un organismo pervasivo e totalizzante, governa le vite dei cittadini del paese anonimo in cui è ambientata la storia, fagocita tutto il loro tempo, perché è da lei che ognuno spera di ottenere i certificati necessari per sopravvivere alle più varie incombenze di una vita quotidiana interamente burocratizzata: le prerogative della Porta, spiega Aziz, sono «tutto ciò che un essere umano potrebbe mai concepire».

Tutti quindi vi accorrono e alimentano una fila sempre più estesa. Passano le loro esistenze ad aspettare che la Porta apra. Sperano notte e giorno che questo avvenga: «[Yahya] si frugò nelle tasche alla ricerca del blister di analgesico che si portava sempre dietro, ma lo trovò vuoto. Un ragazzo di bell’aspetto, che aveva assistito alla scena da dietro le spalle di Nagi, gli diede due pillole di un famoso medicinale usato di solito contro il mal di testa e gli suggerì di tornare a casa a riposarsi un po’, offrendosi di tenergli il posto. Nagi lo ringraziò al posto di Yahya e gli disse che girava voce che quasi sicuramente la Porta quel giorno avrebbe aperto, e non poteva perdersi un’occasione del genere, visto che forse non si sarebbe ripresentata tanto presto».

E ancora: «[Yahya] era rimasto prigioniero della fila. Vi passava la maggior parte delle ore del giorno, e a volte anche la notte, come del resto molta altra gente. Nagi gli propose di tirare su una tenda, ma lui rifiutò: preferiva fare come gli altri, chiacchierare fino alle prime luci dell’alba e poi dormire soltanto un paio d’ore rannicchiato al proprio posto. Quelli che aveva attorno stavano sempre in piedi; non aveva visto molta gente seduta o addormentata, nell’attesa dei giorni passati. Tutti si aspettavano che la Fila potesse iniziare a scorrere in qualsiasi momento, e volevano tenersi pronti. Si ritrovò a fare come loro, nonostante non avesse mai creduto a quello che si diceva, e cioè che la Porta avrebbe aperto all’alba, o forse, addirittura, nel cuore della notte».

Al di là della fila, il romanzo è incentrato su Yahya, la cui ricerca della verità sul suo ferimento rappresenta il nucleo centrale del racconto. Egli, per testimoniare la violenza perpetuata verso i manifestanti durante gli sciagurati eventi, cerca disperatamente le radiografie che fece una volta arrivato all’ospedale. Da lì incomincia un susseguirsi di speranze vane, documenti manomessi, alterazioni della realtà, crude disillusioni, intercettazioni telefoniche e ambientali, amara rassegnazione. La mente dei cittadini è eterodiretta, prima anestetizzata, lobotomizzata e poi plasmata. Lo Stato controlla la stampa, la televisione, i telefoni, perfino i discorsi più futili di ogni giorno. I burocrati legiferatori della Porta impediscono a tutti di vivere serenamente. Resta viva tuttavia una fiacca speranza di scoprire la verità.

In una città palesemente egiziana anche se i luoghi sono senza nome, attorno al protagonista ruota un universo di personaggi più o meno secondari: Mahfouz, stupratore di una donna sconosciuta e malata che avrebbe dovuto sorvegliare, poi asceso a martire dalla folla; Nagi, ex compagno di scuola e migliore amico di Yahya, giornalista che cerca ostinatamente di denunciare le ingiustizie del governo invisibile; Amani, finita in un’alienante e allucinante stanza bianca, scompare dalla civiltà compromettendo per sempre il suo rapporto col mondo; Inès, una fanatica radicalmente plagiata alla ricerca di proseliti per la religione della burocrazia invisibile,  incarnata da uno Stato che arriva dovunque; questo per fare solamente alcuni esempi.

Basma Abdel Aziz, attraverso questo romanzo, tra le cui fonti figurano probabilmente sia l’Orwell di 1984 che i romanzi kafkiani, ci insegna anche che la verità non è oggettiva, non è una e per sempre tale, e dipende sempre dal punto di vista di chi pensa: quando tutti concepiscono una cosa come vera, o si lasciano plasmare dalle menzogne altrui, bisogna cercare di resistere. Non importano la sofferenza, le ingiustizie sociali, il tradimento della memoria. Il punto di vista degli altri diventa il nostro, ciò in cui crediamo non esiste più: è questa forse la prospettiva più angosciante del mondo distopico creato dalla scrittrice egiziana.

 

(Basma Abdel Aziz, La Fila, Traduzione di Fernanda Fischione, Nero Editions, 2018, pp. 214, € 17.00)

LA CRITICA - VOTO 8/10

Uno dei pochi romanzi che si possa veramente considerare kafkiano.