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Musica

L’eredità dei Goblin in Suspiria di Thom Yorke

Thom Yorke, i Goblin, Luca Guadagnino e Dario Argento

di Luigi Ippoliti / 16 gennaio

Parlare della colonna sonora di un film senza sapere come i pezzi e le orchestrazioni si sarebbero andati a incastrare tra le immagini è un lavoro fattibile, ma fondamentalmente inutile. Per cui, cercare di capire cos’abbia fatto Thom Yorke con Suspiria per l’ultimo film di Luca Guadagnino necessitava del supporto visivo. La valutazione era parziale e non poteva andare al centro della questione – nonostante, comunque, già si capisse che era stata presa un’altra direzione rispetto all’originale. Ribadirlo è tanto retorico quanto fondamentale, perché l’opera si sarebbe offuscata nel ricordo del 2018 e non avrebbe potuto vivere per quello che è: la colonna sonora di un film. Soprattutto perché parliamo di uno degli autori pop/rock più importanti degli ultimi trent’anni che si cimentava per la prima in un mestiere tanto simile al suo quanto completamente dissimile, con l’opera di uno dei registi italiani fondamentali di oggi – nonostante dalle nostre parti venga messo ancora un po’ ai margini e nonostante sia, a detta dello stesso Dario Argento, uno dei registi europei più importanti.

Relazionarsi con un film cult del genere è complesso, perché  parliamo della storia della cinematografia, ma forse ancor di più di quella delle colonne sonore; quel Suspiria di Dario Argento che ha segnato, a fine anni settanta, un genere e la colonna sonora dei Goblin, che è riuscita a rimanere impressa e a vivere di vita propria anche al di fuori del film. Quindi, in maniera intelligente, Guadagnino ha convinto e coinvolto Thom Yorke  (il quale, inizialmente, aveva declinato l’offerta della scrittura di Suspiria) in questo lavoro, cercando di distaccarsi il più possibile dall’opera originale. Riuscendo nell’impresa di rendere il Suspiria di Argento un pretesto per parlare d’altro.  La colonna sonora, quindi, non avrebbe potuto che essere anch’essa altro da quello che è stato, anche perché pensare di andare  a percorrere la strada battuta dai Goblin avrebbe avuto la forma  di un suicidio; ma il punto non è andare a toccare un mostro sacro.  Il punto è la necessaria differenza che deve esistere tra i due lavori in ottica di quelle che sono le esigenze strutturali dei due film.

La melodia di “Suspiria”, per esempio, ancora oggi, è l’incarnazione del suono che si fa orrore: quel carillon ansiogeno doveva disturbare, doveva far paura, doveva metterci di fronte all’idea della paura irrazionale, doveva rendere la scuola di ballo l’inferno. E questo riusciva a fare. Nel film di Guadagnino, per la sua natura diametralmente opposta, questo non serve, perché tutto si sposta su un discorso più cerebrale. Thom Yorke non scrive nulla di così estremo, perché il film non ne ha bisogno – le letture molteplici del film di Guadagnino non hanno bisogno di un impatto alla Goblin. Quindi, a dispetto di tutto, un brano pop al piano, lo splendido valzer di “Suspirium”, è ciò che va a integrarsi meglio con i risvolti psicologici (ma anche sociali) di Guadagnino.

Brani come “Watch”, “Opening To The Sight” o “Sighs”, che nascono per inquietare, per andare a colpire in maniera diretta quella parte del cervello dove vive la paura, mancano completamente. Ci sono alcune suggestioni ( “Volk”, che  è quella che potrebbe rientrare maggiormente  in un discorso gobliniano), ma Thom Yorke decide – necessariamente – di dare un altro taglio. Il canto di “Sabbath Incantation”, che sembra adatto anche a un certo tipo di film di Sorrentino, non potrebbe mai esistere nella testa di Dario Argento.

La stessa “The Hooks”, probabilmente il pezzo più inquietante del Suspiria di Yorke,  è una paura meno viscerale, meno mostruosa, come attutita della ragione.

Senza l’aiuto delle immagini, a svettare nell’opera di Thom Yorke (e non sarebbe potuto non essere così), sono i brani dalla forma canzone: “Suspirium”, “Has Ended”, “Open Again”, “Unmade”. Questi quattro brani comporrebbero un Ep degno (molto più che degno) della produzione di Yorke e, per estensione, dei Radiohead – diversi sono i rimandi al periodo Kid A/Amnesiac, soprattutto le b-sides, da “Kinetic” a “Fog”. Nella sua completezza, invece, anche il resto dei brani assumono la funzione di collante, necessario per amalgamare la laboriosità del tutto.

L’opera dei Goblin, invece, esiste per quello che è anche da sola. L’impressione è che negli anni, ma forse già dal principio, la forza dei brani scritti dai Goblin  sia riuscita a scardinare il rapporto diretto film/musica  e a dargli la possibilità di poter esistere anche in autonomia.

Ma è proprio la natura dei due artisti (e l’esperienza nel campo) a emergere in quanto manifestazione sonora dei due film: tanto è martellante e labirintica quella dei Goblin, quanto è sospesa ed estatica quella di Thom Yorke (dove ritroviamo una ritmica ossessiva solo in “Has Ended”, ma declinata al pop e non al prog).

Da un punto di vista formale, non ci sono punti in comune.  Thom Yorke si appoggia vagamente, ma ne fa altro. Per quanto riguarda l’aver compreso come i propri registi avrebbero mutato le immagini in suono, ci siamo. Thom Yorke ha compreso come fare quello che i Goblin hanno fatto per Argento senza fare i Goblin.