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Musica

Ti aspettavamo, Moltheni

Il ritorno dell'autore de "I segreti del corallo"

di Luigi Ippoliti / 16 dicembre

Nel 2008 esce I segreti del corallo. Lo fai partire e la prima traccia è “Vita rubina“. Quante canzoni in Italia, scritte in quegli anni fino a oggi,  sono migliori di “Vita rubina”? Abbiamo giustamente venerato negli anni ’00 i Verdena, Vasco Brondi, gli Offlaga. Ma chi tra questi, e tra tutti gli altri, è riuscito a scrivere qualcosa del genere? Quel racconto sulla perdita dell’innocenza sorretto da un pop che trascolora nel post-rock.

Lui, Moltheni, che dal 2010 decide di scrivere canzoni sotto il suo nome di battesimo Umberto Maria Giardini e, dieci anni dopo, decide di tornare alle origini artistiche con Moltheni e l’album Senza eredità.

Motheni negli anni ’00 è stato una delle figure più interessanti del cosmo indie italiano – nel 2000 ci prova a Sanremo raggiungendo il sesto posto tra i giovani, molto tempo prima che altre grandi figure indie decidono di calcare il palco dell’Ariston.

Gli esordi con Natura in replay, un suono sporco e l’influenza più che evidente di Manuel Agnelli e Carmen Consoli. Da lì la costruzione di qualcosa di più solido e pulito, senza però mai staccarsi dal cordone del presentatore di X Factor. L’apice raggiunto con il già citato I segreti del corallo e il successivo Ingrediente Novus.

In quegli anni, poi, ha il tempo anche di fare una capatina nel film Perdutoamor di Battiato, dove è un giovane Battisti che canta  Prigioniero del mondo.

Dopo dieci anni di Moltheni, ecco che viene stravolto tutto con la scelta del cambio di nome in Umberto Maria Giardini. Una decisione drastica che probabilmente ha avuto qualche ripercussione negativa, ma Umberto Maria è dentro a logiche che hanno a che fare solo con l’arte. Sicuramente, in questa seconda muta, la sua migliore espressione nel rock di Forma mentis.

Oggi Umberto Maria torna come Moltheni e tira fuori un album fatto di canzoni del primo periodo (registrate oggi) che non sono mai riuscite a entrare in nessun lavoro di quegli anni. Solo “La mia libertà”  è un pezzo completamente nuovo.

Cosa aspettarsi da un album di Moltheni dopo queste pretese?  Catapultati in quegli anni, ma senza esserlo realmente. Quell’ondeggiare della voce, gli intrecci delle chitarre. Senza eredità sembra scorrere come in un luogo senza spazio e tempo, una delle caratteristiche tipiche dei lavori di Moltheni. Questa sospensione continua delle cose.

Le sue ballate si mischiano tra di loro senza intoppi, ognuna dipende da quella che si trova prima e da quella che si trova dopo. “Ieri”, “Estate 1983”, “Ester”, ma soprattutto “Spavaldo”,  sono Moltheni nella sua massima espressione.

Senza eredità è proprio un album di Moltheni a tutti gli effetti e non di Umberto Maria Giardini. Non riesce ad essere profondo e struggente come I segreti del corallo, ma quello che esce è qualcosa che ci ricorda che abbiamo bisogno di Moltheni,  della sua voce tormentata e poetica e del suo immaginario imponente.

 

 

 

LA CRITICA - VOTO 7/10

Il ritorno di Moltheni è una bellissima notizia in questo 2020. Senza eredità ci ricorda della sua importanza, ci ricorda di quanto abbiamo bisogno di lui.