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Libri

L’omaggio a una generazione raminga

“Spatriati” di Mario Desiati

di Antonella De Biasi / 16 settembre

C’è una differenza tra essere un expat e uno spatriato: “spatriètƏ”, aggettivo pugliese che non ha genere e che dà il titolo all’ultimo romanzo di Mario Desiati (Einaudi, 2021), sta per ramingo, incerto, senza meta, ed elude il termine con cui, semplicemente, si indica qualcuno che cambia patria.

La percezione che tutto quel che conta stia succedendo fuori dal tuo mondo di provincia: in un momento in cui si cerca di assegnare un territorio a un individuo perché rassicurante e catalogante, l’autore risponde con una storia in cui ci rammenta che «cresciamo foresta», che le radici si possono recidere ma che le origini restano come un patto d’appartenenza.

I due protagonisti, Claudia e Francesco, difendono un tipo di identità che non deve aderire necessariamente agli schemi della provincia pugliese, ma potrebbe essere una qualsiasi provincia italiana: il loro rapporto attraversa il romanzo dall’inizio alla fine, una traiettoria potente che terrà il ritmo talora poetico, talora ruvido e istintivo del libro.

Avvolti da una medesima fiamma come Ulisse e Diomede, cercano un modo per imporsi e definirsi, per trovare un posto nel mondo. Sono diversi, accomunati all’inizio della narrazione solo dal fatto di essere i figli di una coppia di adulteri: la madre di lui e il padre di lei sono amanti, vivi solo amandosi e riscattandosi dai rispettivi matrimoni, che ovviamente non funzionano.

Francesco è annodato alle radici del proprio paese d’origine e, anche se ribelle e intollerante ai paradigmi asfissianti della sua Martina Franca, non possiede l’indole di Claudia, più trasgressiva, insofferente, votata a partire, andare altrove, definire sé stessa in una realtà distante, che spezza le regole della provincia. I due si divideranno senza mai dividersi: a tenere saldo il legame sarà l’innamoramento costante di Francesco per Claudia, che invece intraprende altre esperienze, talvolta estreme.

«Facile rifugio l’amore non corrisposto, per le adolescenze solitarie e insicure, quelle di chi ancora non sa chi è, e io non sapevo quasi niente di me, e tutto ciò che ero stato fino ad allora lo tenevo nascosto, terrorizzato che potessero giudicarmi inadatto».

Crescendo le due monadi si articolano in scelte sempre più distanti che, capitolo dopo capitolo, disegnano luoghi diversi: dalla Puglia delle processioni – «la Valle d’Itria e i crateri bianchi di Ostuni e Locorotondo», Bari con il suo mare di due colori, «verdognolo a riva, cobalto oltre i frangiflutti», il cielo violaceo e rosso di Taranto, Torre Canne e Savelletri, i trulli di Martina e Cisternino – si approda a Londra, Milano e Berlino. La narrazione cambia, fotografa le esperienze lavorative contemporanee di una generazione irregolare con ambizioni e contratti duttili, le storie d’amore trasgressive e affamate.

«Non tornerò per salvarti, dovrai venire tu da me», dice Claudia a Francesco, chiuso nel suo guscio fatto di vicoli e di tradizioni, che stride con i quartieri chiassosi e moderni delle capitali europee, i posti dove ciò che credi di essere prende forma diversa.

«Presi a leggere i suoi scrittori, era il modo più facile per avvicinarmi a lei. Sono stati gli anni in cui ho letto di più, perché mi ero sintonizzato, o provavo a farlo, con lo spirito di Claudia. Maria Marcone, Rina Durante, Mariateresa Di Lascia, nomi che non mi avrebbero mai detto nulla senza di lei».

Desiati racconta e raccoglie la Puglia letteraria: come nel passaggio in cui Claudia legge una poesia di Vittorio Bodini, il più noto e amato poeta pugliese, o in cui usa l’espressione «franare sotto i piedi», emersa da La malapianta di Rina Durante, una ricerca che passa per il sociologo Franco Cassano e la poetessa Claudia Ruggeri. Anche la struttura del romanzo è volutamente letteraria, con l’uso di parole che vanno dal dialetto della Valle d’Itria al tedesco. Lo stesso autore ha definito il dialetto polisemico: «Ogni parola racchiude un mondo, mentre il tedesco riflette una forma mentale schematica, più rigida. Uno è liquido, l’altro è denso».

Come “malenvirne”, inteso come persona che rompe gli equilibri, elemento impazzito all’interno di una comunità, e “Sehnsucht”, che deriva dall’antico tedesco “sensuht”, che indicava la malattia derivante dal bramare un oggetto irraggiungibile e può essere tradotta come “struggimento”.

Proprio il corpo e la carnalità sono fondamentali: la sensualità aleggia sin dall’inizio e si trasforma una tensione erotica che accompagna l’intera narrazione, sino alla commistione dei generi e al punto di vista di diverse generazioni – se pensiamo agli adulteri, i genitori dei protagonisti.

In Spatriati i personaggi affrontano diverse cadute: fasi nelle quali falliscono, sono impreparati, ma recuperano in fretta «la solennità dello spirito che tenta di rialzarsi e riappropriarsi dei muscoli, dei tendini, dei nervi». Ma il rapporto tra Claudia e Francesco non si interrompe mai: corre sul filo degli eventi, resistendo ai cambiamenti e alle diverse esperienze, in un continuo rigenerarsi di un rapporto forte ma fluido. E la loro grande forza sta in questo: essere certi in un’epoca incerta. Spatriati è il racconto di diverse emancipazioni, ma anche di ritorni, in cui l’illusione di essere salvi si mescola al riappacificarsi con le radici.

 

(Mario Desiati, Spatriati, Einaudi, 2021, 266 pp., euro 20, articolo di Antonella De Biasi)