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Nei meandri di Eden City

A proposito di “Caverne” di Clemens Meyer

di Alberto Paolo Palumbo / 14 dicembre

Più di trent’anni fa, con il crollo del Muro di Berlino, si pensava che la Riunificazione tedesca avrebbe portato vantaggi economici e sociali ai Länder della vecchia DDR. A oggi, però, le promesse di stabilità per la ex Germania Est faticano ancora a realizzarsi, creando un forte sentimento di avversione verso l’Ovest e un senso di nostalgia nei confronti del vecchio regime socialista (la cosiddetta Ostalgie): è uno dei fattori, secondo gli analisti, del successo dell’estrema destra tedesca della AfD in quel territorio.

Fra i tanti autori della letteratura tedesca che si sono confrontati con la Germania post-Riunificazione figura Clemens Meyer, scrittore nativo di Halle an der Saale e residente a Lipsia, tornato recentemente nelle librerie italiane con Caverne (Keller, 2021), romanzo del 2013 con cui è giunto alla semifinale dell’International Booker Prize e alla finale del Deutscher Buchpreis.

L’autore sassone, noto per Eravamo dei grandissimi (Keller, 2016) e per la raccolta di racconti Il silenzio dei satelliti (Keller, 2019), ha sempre posto al centro della sua opera narrativa persone ai margini della società e le loro difficoltà nel confrontarsi con la disillusione delle promesse di benessere della Germania Ovest all’alba della Riunificazione. A questo proposito, in un’intervista del 2019 rilasciata per «Alias» a cura di Elisabeth Galvan, Meyer ha dichiarato:

«A mio modo di vedere, l’individuo è in balia della storia. La storia è una macina e l’individuo è uno fra tanti granelli che vengono triturati. I miei personaggi sono spinti avanti dagli avvenimenti: sono semplicemente là, cercano bene o male di vivere la loro vita, ma non si sentono parte di una massa attiva, non si sentono capaci di intervenire e di cambiare le cose, si sentono estranei alla società e provano a tracciare una loro strada».

Individui schiacciati dalla Storia sono anche i protagonisti di Caverne: Lilli, prostituta dal nome d’arte di Babsi; Arnold Kraushaar, conosciuto come “AK”, “Kalašnikov” o “il Vecchio”, immobiliarista prestatosi al fiorente settore della prostituzione in appartamento; Hans Pieczek, detto “Hans Scannaporci” o “il Macellaio”, gestore di un night club alle prese con le rivendicazioni sindacali delle prostitute e con l’arrivo di gang straniere come gli Angels; il conduttore radiofonico Ecki e tanti fra poliziotti, prostitute e immobiliaristi.

I loro destini si muovono nella città immaginaria di Eden City – che assomiglia a Halle o a Lipsia per via dei riferimenti alla linea ferroviaria di City Tunnel – in un arco di tempo che va dal 1993 agli anni Dieci del Duemila, con flashback alla fine degli anni Ottanta. Eden City, però, è una città che di paradisiaco non ha nulla, così come le vite di chi la abita: persone ai margini della società, della Storia, che cercano di vivere dignitosamente nonostante le mancate promesse di benessere che la caduta del Muro portava con sé.

Il romanzo di Meyer ricorda nelle atmosfere il neorealismo italiano, verso cui l’autore ha sempre manifestato un certo debito, e in particolare Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, ma si rifà anche alla tradizione letteraria tedesca moderna e contemporanea. Si sentono echi di Bertolt Brecht, che con L’opera da tre soldi e Santa Giovanna dei macelli ha ben saputo rappresentare il legame fra capitalismo, illegalità e sfruttamento, ma anche, come giustamente scrive la casa editrice nella bandella del libro, di Wolfgang Hilbig e delle sue atmosfere di degrado industriale e di miseria, e di Alfred Döblin e del suo Berlin Alexanderplatz.

Proprio fra quest’ultimo romanzo e Caverne sembrano esserci dei punti di contatto: l’uso della tecnica del montaggio o Kinostil, pratica modernista introdotta proprio da Döblin; dei personaggi alla deriva che, come il protagonista di Berlin Alexanderplatz Franz Biberkopf, vivono da outsider in una società in cui non si riconoscono più; una prospettiva narrativa cangiante dalla prima alla terza persona e l’alternanza di piani temporali, di sogno e realtà; la presenza di riferimenti sociali e culturali dell’epoca.

Il fallito raggiungimento del benessere, la marginalità e il disorientamento sopraggiunti con la fine della Germania divisa sono annunciati già dal titolo del romanzo. Se in tedesco il titolo originale Im Stein, letteralmente “nella pietra”, sembra non rivelare nulla a parte qualche legame con l’edilizia (la parola “Stein” appare, ad esempio, in “Backstein”, ovvero mattone), le traduzioni italiana e inglese risultano più significative. L’inglese Bricks and Mortar, ad esempio, allude alla natura di facciata del business dell’edilizia, in realtà usato per arricchirsi attraverso la prostituzione: brick-and-mortar business è un’espressione usata per quelle attività economiche che comprano o prendono in affitto locali per gestire le proprie attività. L’italiano Caverne, invece, fa più riferimento alla marginalità dei personaggi, che vivono nei meandri della Storia e nella palude del turbocapitalismo globale, oltre che, come spiega Arnold, alla prostituzione e al sex work:

«Milieu. Che cosa sarebbe, scusi? La vagina ha un milieu caldo-umido. C’è scritto così sui libri, libri di scuola, manuali di biologia. Vagina. Vulva. Grotta. Umida in effetti lo è. Meglio ancora se bagnata da paura. “Bagnata da paura, it’s all about tempura”, non lo diceva sempre il giapponese che veniva al locale di Hans?»

Il sex work costituisce una metafora perfetta per raccontare l’evoluzione della vecchia Germania socialista. La riforma sulla prostituzione del 2002, per esempio, doveva permettere maggiori tutele e autonomie per le lavoratrici del sesso tedesche, ma l’ambiguità verso il riconoscimento della prostituzione come lavoro ha comportato l’aumento di illegalità e di sfruttamento, spesso di donne provenienti dall’estero. «Se lo Stato», si legge nell’Intendenza di finanza riportata nel libro, «non può assumere il monopolio per motivi economici, giuridici, organizzativi e morali, allora, cari i miei signori, care le mie signore, la nostra direttiva può essere una sola: che il racket continui a esistere, ma noi dobbiamo battere cassa!»

Il tema del sex work, dunque, rispecchia fedelmente il destino della zona orientale della Germania, abbandonata dallo Stato e in balia di società private come la Treuhandanstalt citata nel romanzo, ente accusato di uso improprio di fondi e liquidazione di attività redditizie, che di certo non ha giovato all’economia della vecchia DDR:

«A sette anni dalla caduta del Muro e sei dalla Riunificazione la città è ancora piena di idioti che non hanno la più pallida idea di come funzionano – e non possono che funzionare – i nuovi giochi. Gente che si fa fregare dagli stronzi che pilotano le privatizzazioni e dagli squali delle immobiliari».

L’ex Germania Est di Caverne è un mondo di sotto, una palude dove bianco e nero si fondono rendendo labile il confine fra legalità e illegalità, e in cui i poliziotti collaborano con gli immobiliaristi e con i nuovi criminali provenienti dall’estero per mandare avanti i propri interessi. La Germania orientale torna a essere quel mondo di confine fra la Germania Ovest e l’estero dove si può agire indisturbati restando impuniti, dove gli interessi di pochi prevalgono su quelli dei tanti che vogliono realizzarsi, distruggendo così i sogni di benessere e stabilità di un’intera generazione post-DDR.

Il tutto viene raccontato dall’autore da una posizione di distanza, la stessa della Storia, per la quale ogni cosa va e viene, come simbolizzano l’inizio e la fine del romanzo, dove due prostitute sono alle prese con i propri clienti cercando di arrivare alla fine della giornata. Per Hans, Arnold e tutti gli altri personaggi è impossibile realizzarsi in una realtà come la Germania Est: a tutti loro, dunque, non resta che sopravvivere e nella sopravvivenza trovare una dignità.

Caverne è, dunque, un poderoso, caleidoscopico e complesso ritratto della Germania post-Riunificazione: una realtà che doveva unire socialmente ed economicamente le due Germanie divise dal Muro fino al 1989, ma che con la speculazione edilizia, il turbocapitalismo e la globalizzazione è tornata a essere divisa, rendendo l’ex Germania Est un sottosuolo torbido di criminalità e sfruttamento che sembra uscito da una pièce di Bertolt Brecht; un posto dove, parafrasando il drammaturgo di Augusta, l’uomo vuole essere buono, avere pace e fraternità, ma in cui «i mezzi sono scarsi e gli uomini cattivi».

 

(Clemens Meyer, Caverne, trad. di Roberta Gado e Riccardo Cravero, Keller, 2021, 680 pp., euro 20, articolo di Alberto Paolo Palumbo)