Flanerí

Libri

Sono le nostre mamme a insegnarci il patriarcato

“Il Femminismo è per tutt*. Una politica appassionata” di bell hooks

di Anita Fallani / 10 febbraio

Il gioco grafico della copertina del libro Il femminismo è per tutt* lascia intravedere una i infondo al titolo, tratteggiata da un raggio esterno, come fosse la sagoma di un’ombra. bell hooks ripone grande attenzione al linguaggio e alle sue strutture di potere, per esempio rifiutando lei per prima la maiuscola nel suo nome. Per questo il titolo è inconcluso, sollevato dal binarismo di genere. È così che la Tamu Edizioni ha voluto pubblicare un manifesto che celebra l’intersezionalità del pensiero femminista, dimostrando la sensibilità di quello che verrà raccontato nel testo già dal disegno grafico. bell hooks ha sentito l’esigenza di scriverlo dopo anni di militanza, dopo anni di ricerca di un testo di alfabetizzazione per chiunque fosse curioso del tema. Un testo che spiegasse che il femminismo non risponde alle esigenze di una parte della società: si tratta piuttosto di politica, che come tale mira alla collettività, a tutte e tutti. Ha deciso allora di spiegarlo e di scriverlo lei stessa, il libro che aveva sempre cercato.

Il paradosso di inserire “tutti” al maschile nel titolo avrebbe portato a escludere le donne come destinatarie dell’opera, e in generale della sua idea di femminismo, ma la scelta di non usare “tutte” evidenzia un passaggio storico nello sviluppo del pensiero femminista. Infatti, il femminismo ha bisogno di rivolgersi a un pubblico trasversale e dare risposte alle domande più scomode che la società impone. Ci si potrebbe aspettare allora che con l’apertura del femminismo agli uomini il manifesto di bell hooks si concentri principalmente sullo spiegare come mai una simile lotta e politica li possa interessare. Invece, in un gioco di specchi e ribaltamenti, si sviluppa principalmente intorno alla disamina di come le stesse donne siano state le prime portatrici delle istanze patriarcali.

Molte donne hanno voluto massimizzare il loro ruolo nel femminismo quale possibilità di emancipazione di classe nel sistema vigente. Il fatto invece che il femminismo sia nato con l’autocoscienza dimostra proprio come l’obiettivo fosse smantellare per prima cosa il patriarcato interiorizzato: non ci si può dire femministi senza questo passaggio. Il confronto e l’autocoscienza hanno permesso di riconoscersi come agenti di alcuni dettami dell’oppressione e non più esclusivamente vittime, perché la sorellanza femminista si occupa di lottare contro l’ingiustizia patriarcale, qualunque forma assuma. Da quando invece, con gli anni Settanta, il femminismo è stato riconosciuto come materia di studio, i manuali e le discussioni si sono spostate sempre di più nell’accademia, non solo perdendo il legame con la realtà, ma anche limitando l’accesso alle persone estranee al mondo universitario. Il lessico specializzato che ne è nato e lo sviluppo della materia in un luogo intrinsecamente classista e bianco ha deviato dall’obiettivo cardine per cui il femminismo era nato. Di fatto, molte donne bianche appartenenti al corpo docente si sono appropriate di un gergo femminista mentre continuavano a perpetuare lo stesso identico esercizio di potere dei loro colleghi maschi. Non è che uno dei tanti esempi che bell hooks riporta per sottolineare i rischi delle derive femministe: la focalizzazione di alcune donne sul carrierismo e il conseguente accesso a ruoli importanti non significa che le donne come gruppo sociale stiano acquisendo potere.

Il libro si sofferma allora sul cosiddetto sessismo interiorizzato, analizzando il modo in cui le donne possono essere nemiche del femminismo. Questo non si è verificato solo in ambito accademico o quando il femminismo si è istituzionalizzato, ma anche all’interno dello stesso movimento. La mancata decolonizzazione del pensiero ha portato sì le donne bianche a liberarsi dal lavoro casalingo, ma invece di ripensare i rapporti di cura e di educazione nella famiglia, la gestione delle faccende domestiche è stata delegata alle donne nere o immigrate. È avvenuto perché, quando il movimento è nato, si affrontavano principalmente i problemi delle donne bianche istruite. Ma adesso, ci dice bell hooks, per la lotta è arrivato il momento di diventare trasversale, e per il pensiero femminista di assumere al proprio interno le istanze di donne che hanno un altro colore della pelle e un’altra appartenenza di classe. Bisogna tentare di capire come alcuni diritti delle donne bianche siano stati raggiunti solamente grazie all’oppressione delle donne nere. Questo, comunque, non significa escludere che la lotta possa essere condivisa: bisogna solo fare lo sforzo di comprendere in che modo si manifesti in gruppi e classi sociali differenti.

La pratica sessista nei confronti dei corpi delle donne è interconnessa a livello globale: per esempio, è fondamentale capire che la mutilazione dei genitali femminili è l’altra faccia della medaglia rispetto ai disturbi alimentari, potenzialmente mortali, di cui il mondo occidentale e bianco soffre. L’ideale di magrezza oggi imperante, infatti, non è che una nuova versione del metodo di controllo del corpo che il sistema patriarcale ha sempre manifestato nei confronti delle donne. Il corpo è sempre stato al centro del discorso femminista, e dobbiamo indagare come oggi questa forma di oppressione sia mutata, magari in maniera meno visibile ma ugualmente opprimente. C’è bisogno insomma di «rispettare i nostri corpi in maniera antisessista».

Se il sessismo è oppressione per le donne di tutto il mondo, spesso purtroppo lo è anche la stessa risposta femminile agli abusi. Tra le donne ci sono state e continuano a esserci donne maltrattanti, e talvolta le donne hanno sbagliato le pratiche da adottare per combattere il patriarcato, rendendosene alleate. Per esempio, in merito alla sessualità ci sono stati atteggiamenti opposti e contraddittori; bell hooks afferma che «la lezione che tutte noi abbiamo imparato è che una pratica sessuale trasgressiva non ti rende politicamente progressista». È del tutto plausibile che in un rapporto lesbico si verifichino gli stessi identici meccanismi di potere delle coppie etero, perché il fatto che il soggetto sia femminile non garantisce che attui pratiche e abbia valori femministi. Questo è possibile perché molte donne hanno introiettato il sessismo e l’abuso di potere, e proprio le dinamiche che hanno sempre sofferto sono diventate insegnamenti trasmessi ai loro figli. Se da una parte gli uomini sono visti come i nemici indiscussi e l’enfasi è stata posta tutta sulla violenza maschile, dall’altra parte non è stata posta la stessa attenzione sulla violenza femminile che le donne compiono sui loro figli o su altre donne, nonostante il tipo di oppressione sia il medesimo. Che i genitori di sesso femminile abbiano trasmesso il pensiero sessista è stato possibile anche perché non sono stati scritti testi femministi che permettessero di capire come educare i figli e creare identità fondate su valori diversi da quelli considerati da sempre accettabili.

Soprattutto quando si è avvicinato agli uomini, il femminismo è stato rappresentato come un movimento politico fondato sull’odio anziché sull’amore. Ma il femminismo, invece, include molto più di quello che la parola sembrerebbe lasciar intendere: perché si occupa di educazione, di razza, di classe, di rapporti di cura e di uomini. Infatti «le femministe visionarie hanno sempre saputo che era necessario convertire gli uomini. Sappiamo che tutte le donne del mondo potrebbero diventare femministe, ma se gli uomini continuano a essere sessisti la nostra vita sarebbe ancora la norma. Le attiviste femministe che rifiutano di accettare gli uomini come compagni di lotta – che nutrono la paura irrazionale che, se gli uomini traggono un qualche vantaggio dalla politica femminista, le donne perdono – hanno sconsideratamente aiutato il pubblico a vedere il femminismo con sospetto e disprezzo. […] è urgente che gli uomini sposino la causa del femminismo e sfidino il patriarcato».

Il femminismo non è oppositivo, è una proposta di pratica politica nuova, aperta a includere tutt*, come i margini sfumati di quella i nella copertina lasciano intendere: un lampo pronto a espandersi per intercettare, includere. Una politica per le esigenze di tutt*.

 
(bell hooks, Il femminismo è per tutt*. Una politica appassionata, trad. di Maria Nadotti, Tamu Edizioni, 2021, pp. 204, euro 14. Articolo di Anita Fallani)