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Libri

“Accadimenti nell’irrealtà immediata” di Max Blecher

di Francesco Leonelli / 30 luglio

«Quando guardo per molto tempo un punto fisso sulla parete mi accade a volte di non sapere più né chi sono né dove mi trovo. Avverto allora da lontano l’assenza della mia identità, quasi fossi divenuto, per un istante, una persona del tutto estranea».

Così inizia il romanzo dell’ingiustamente dimenticato Max Blecher, autore ebreo-romeno morto nel 1938 dopo un decennio passato a letto a causa d’una tubercolosi spinale. Viene da chiedersi dunque: fino a quando il corpo può tenere prigioniera la mente? Se certamente è la morte l’attimo in cui si compie lo sfaldamento dell’unità anima-corpo, vi sono dei momenti, come quello descritto da Blecher, in cui il pensiero sembra liberarsi dell’inutile zavorra fatta di pelle, nervi e ossa e farsi fluida, al punto di mischiarsi con l’impasto primordiale di cui è fatto il cosmo.

Accadimenti nell’irrealtà immediata è il resoconto del tentativo di Blecher di sottrarsi all’oppressione di un’arida realtà che, come in un infinito ciclo di produzione, si ripete ossessivamente in un flusso continuo di esistenze tutte uguali tra loro, delimitate e chiuse in una cupa solitudine, cui è possibile sottrarsi solamente rifugiandosi in un luogo liminare tra sogno e delirio, l’irrealtà per l’appunto, unico posto dove ancora risplendono intatti i segreti semi della vita.

La ricerca d’un contatto con quel mondo di luce porta Blecher all’incessante tentativo d’annullare l’angusto limite della propria persona e a cercare una fraternizzazione con le entità che popolano la terra. Emblematico è l’incontro tra l’autore e un albero: «Silenzioso e splendido […] Mi riempii il petto d’aria e, allungandomi per bene sul dorso, rivolsi un caldo saluto ai rami sopra di me. Vi era qualcosa di semplice e ruvido nell’albero, che si sposava a meraviglia con le mie nuove forze. […] Quanto più attentamente guardavo la corona di rami che si stendeva all’infinito, tanto meglio sentivo dentro di me il modo in cui la carne si dilaniava e come negli spazi lasciati vuoti cominciasse a circolare l’aria viva di fuori. Il sangue saliva nelle vene maestoso e pieno di linfa, spumeggiante per l’effervescenza della vita semplice».

Il mescolarsi delle due esistenze in una sola, l’abbattimento dei confini che isolavano le due entità l’una dall’altra porta Blecher a voler convincere anche gli altri uomini che sia possibile trovare un antidoto alla grigia mortificazione della quotidianità. Ma è tutto inutile. Blecher non riesce nemmeno a convincere la propria compagna, Edda, che in fondo alla stanza, al posto d’una semplice sciarpa, c’è invece un vaso di splendide dalie rosse. Che esso vi sia o no veramente non ha alcuna importanza; Edda non può o non vuole vedere. L’ottusa cecità della donna mortifica l’autore e lo porta a una folgorante agnizione: il mondo non ha alcun interesse a cambiare se stesso, nessuna volontà ad abbattere le barriere tra le varie esistenze: «Tutte le cose, tutte le persone erano racchiuse nel loro piccolo e triste dovere di essere precisi, null’altro che precisi. Inutile credere che in un vaso ci fossero delle dalie, quando lì c’era una sciarpa».


(Max Blecher, Accadimenti nell’irrealtà immediata, trad. di Bruno Mazzoni, Keller Editore, pp. 168, euro 13,50)