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“Errata coccige” di Andrea Viviani

di Fabrizio Miliucci / 8 gennaio

I versi di Andrea Viviani presuppongono l’emergenza, il disfacimento. Nell’immobilità di un caos interiore ma non esistenziale, che dunque ci riguarda tutti, la sua voce si alza sicura e incerta insieme, si fa potente e oltremodo sottile, rende il beneficio della contraddizione a chi ascolta, il dubbio della salvazione, la certezza della pena e dell’inganno.

In un certo senso questa raccolta di liriche può rappresentare un punto fermo nell’odierno panorama poetico italiano. La lirica, intesa come canto immateriale di sublimazione e suggestioni arriva a consumare se stessa nelle note più alte dello spartito, oltre rimangono appena i suoni inarrivabili all’orecchio comune. Esplorato questo passo estremo, il canto, il pianto, dovrà farsi qualche cosa di più o di meno, l’artificio per intero dovrà girarsi su se stesso.
 

“Ipotetico languire”

Pensa se ora
e non prima di adesso
quest’ostia in cielo che iridesce
stessi lì a guardarla pure tu.

Se rapita ti rapisse
riflessa
la luce del mio desiderar di noi.

Pensa se dicesse
meglio ti urlasse
che altro non vale il suo brillare
se non la quiete dei tuoi gesti.

Ricordo presente
mi dondolo
e cullo inebriato
le impressioni di te sulla mia pelle.
 

Errata Coccige è il debutto poetico di Andrea Viviani per le Edizioni Ensemble. Dell’autore leggiamo in quarta di copertina «(soprav)vive di parole da quando ne ha consapevolezza. Funambolo delle competenze, insegna quando impara e viceversa». Posti sotto un velo di ironia due informazioni importanti. La centralità della parola, passione, vizio, mestiere, e la sottile scomoda e privilegiata linea fra insegnare e imparare, unica condizione propizia alla ricerca. La piccola rivoluzione che questi versi contengono almeno in potenza riguarda proprio la parola, pronunciata, prima che una penna possa graffiarla sul foglio, carica e portatrice di significati e simbologie affettive. La parola come impulso fisico anziché mentale o sociale. Chiarita la visceralità di una comunicazione che sola è salvezza, si può risalire senza timore ai pensieri e alle occasioni, insomma alle significazioni, che, più o meno velatamente, soggiacciono alla trama (Trame è l’enigmatica epigrafe posta in apertura) e al sospiratissimo senso di questi versi.

Provano un percorso simile Marco Gargiulo nella “Prefazione in forma di lettera” e Giuseppe Crimi, postfatore del volume: «un errore, un lapsus linguae, governa le poesie di Viviani, a partire dal titolo – Errata Coccige –, già un’incomprensione sullo sfondo, o di fondo. Un titolo come un sanissimo sberleffo, un dispetto premeditato alla lingua, che nasce da un sarcasmo esercitato quotidianamente, talvolta impercettibile, eppure sempre attento a registrare i fallimenti di comportamento e di comunicazione degli umani».
 

“L’itote”

Lascia che te lo argomenti,
il pallore del sentire.

Il non-gusto di insensato a meno che non sia per te.

Lascia che a spiegarlo siano i gesti,
gli occhi miei nei tuoi come a uno specchio.

Parlino le perle sulle tempie,
e quei goffi tremolii nella mia voce.

Le cose dette troppe, solo per non riagganciare.

Lascia tutto vivo in mente,
e poi oblia:
a te m’avvinghia ed è tuo solo
ciò di cui non ho bisogno.
 

Presto la via che Viviani addita si interrompe. La stasi sembra essere il secondo momento del suo non-disegno, l’attesa con lo sguardo rivolto al cielo, la dipendenza dell’essere che si è scoperto inerme davanti la sua stessa capacità di vibrare un aiuto o il confuso rimescolio di un sentimento. Questi versi non contengono nessuna risposta, e poche dolorose domande. Forse l’unica domanda a cui possa essere ricondotta questa esperienza poetica riguarda l’ordine, un ordine, superiore o inferiore, che sia in grado di far seguire una pace indiscriminata all’affanno della ricerca, l’unica domanda possibile che possa stare a monte di Errata Coccige riguarda l’esistenza o meno di una risposta, in definitiva ci troviamo di fronte la frammentazione dello sforzo primario dell’uomo nuovo, quello della fede. Come tutte le intelligenze pratiche da Pascal in poi Viviani sa che vale la pena scommettere su Dio, e la sua scommessa è infantile, capziosa. Il Dio delle sue preghiere è anche un personaggio ricorrente dei suoi versi, un compagno con cui intendersela, da riconoscere nei dettagli della vita con spirito di vigile attenzione.
 

“80”

A spasso con spasso,
io e il mio amico nuovo.

Narratore, amante del bello
e delle donne.

Aneddoti virili e un po’ marziali
imperano ormoni residuali.

Che sia ottantenne è un dettaglio
che mi scopro a trascurare.
 

Il finale, anche se provvisorio, non fa sconti. La distruzione presentita si fa sempre più vicina, il non-farcela si affaccia e diviene simile a un dente spezzato che taglia la lingua, un’ossessione dalla quale non è salvezza avere scampo. Il messaggio ultimo di questi versi sta, leopardianamente, nell’avere coraggio, la pur esclusiva tendenza individualistica si scioglie in una preghiera più ampia, ed ecco che solo la comunità, col suo plesso di valori, può camminare felicemente verso un mondo (e un modo) rinnovato. Tutto ciò resta sospeso dall’ultima piccola sezione a mo’ di sentenze, che come una giga sorniona riporta il sorriso sul volto segnato. La Sentenza, quella vera, l’unica, è rimandata fino alle prossime conclusioni provvisorie.  
 

 (Andrea Viviani, Errata coccige, Edizioni Ensemble, 2012, pp. 62, euro 12)