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“Metropolis” di Flavio Soriga

di Mattia Pianezzi / 17 giugno

Io, fossi in voi, non mi fiderei della quarta di copertina di Metropolis di Flavio Soriga (Bompiani, 2013). Non tanto per la sinossi, abile e sintetica quanto basta. È dal sedicesimo rigo che non bisognerebbe fidarsi, quando si parla di «noir metropolitano». Ma andiamo con ordine.

La storia è semplice, lineare: il corpo di una donna viene trovato in una cabina di una spiaggia di Cagliari, la polizia indaga. Le cose, però, si fanno da subito più interessanti: la donna è Giulia Hernandez di San Raimondo, rampollo della nobiltà cagliaritana, mecenate, libertina, una donna che non sapeva vivere in pace l’essere una Hernandez di San Raimondo. Il poliziotto incaricato dell’indagine è Martino Crissanti, un capitano dell’arma atipico, un antropologo ligio al dovere.

Il problema di fondo è che tutti conoscevano Giulia Hernandez, ma nessuno la conosceva per davvero: Giulia Hernandez, questo personaggio sfuggente già in vita, nel romanzo appare solo grazie al collage di immagini che ne lasciano amanti, conoscenti, artisti, parenti; ognuno ne mostra un tassello e il capitano Crissanti cerca di ricomporre il puzzle.

La bugia nella dicitura di «noir metropolitano» è dunque questa: Metropolis di Soriga non è un noir metropolitano. Mi spiego meglio. Le condizioni del noir non sussistono; ve ne sono certo alcuni elementi, ma l’indagine è svolta alla luce del sole, il capitano Crissanti è sostanzialmente un buono e manca il torbido del noir vero e proprio. Giulia Hernandez di San Raimondo non era un personaggio scomodo, viene uccisa a coltellate e la prima pista che si segue è quella passionale, le tinte non sono quelle nere e rosse del noir, sono quelle bianche e blu (come la copertina, ben più sincera della quarta) di un settembre cagliaritano. E Cagliari è tutto meno che una metropoli, ma non ne farei un dramma, anzi: è un luogo vivo e vitale, ogni angolo ha un’identità e i luoghi sono specifici, lontani dai fumosi non-luoghi del noir; perfino la periferia spietata mantiene un barlume di speranza nella bontà e nella bellezza, identificata spesso con la stessa Hernandez. La parte sfaccettata invece sta nei personaggi: tanti, caratterizzati da pochi segni ma non stereotipati, dal nobile del capoluogo all’appuntato del nord Italia, dal pizzaiolo di Sant’Elia al cantautore, ognuno con una parte importante nell’economia del romanzo, portatori di una qualche verità o almeno di un racconto.

L’ultima parte della quarta di copertina invece è credibile, è vera: la lingua dell’autore è riconoscibile e trascinante, accompagna il lettore con ritmo sincopato tra i monologhi e i punti di vista dei diversi personaggi che sembrano così tutti un po’ dei Soriga deflagrati, dei frammenti d’autore incastonati in un ex criminale, un insegnante di storia, e tra gli altri, in un guizzo ironico, nel cugino scrittore di un poco di buono, chiaramente il Soriga dei suoi libri precedenti, accusato di pochezza letteraria.

Per tirare le fila, Metropolis di Flavio Soriga è un buon libro; non vi terrà col fiato sospeso, non vi mostrerà le incrinature e «gli angoli più crudi del presente» (ancora lei, la quarta di copertina). Vi racconterà una storia, e vi terrà compagnia. Per un libro mi sembra onesto.


(Flavio Soriga, Metropolis, Bompiani, 2013, pp. 256, euro 17)