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“Romanzo criminale” di Stefano Sollima

di Mirko Braia / 26 giugno

Difficile, veramente difficile iniziare un discorso sulla banda della Magliana. La più grande organizzazione criminale conosciuta a Roma. In grado di invadere ancora le pagine di cronaca: vedi il caso Emanuela Orlandi. Pagine e pagine di storia della capitale, dalla fine degli anni Settanta in poi, che molti vorrebbero dimenticare. Ma che tanti altri vorrebbero tramandare, nella giusta maniera, alle generazioni future, perché i giovani possano prendere coscienza anche dei momenti più bui invece di ignorare l’ingombrante passato.

Nel 2002 è il giudice Giancarlo De Cataldo a catturare il grande pubblico con Romanzo criminale, un lungo libro atto a ripercorrere – ovviamente romanzando molti eventi – le vicende della banda della Magliana. L’eco del successo è rumorosissimo, tanto da portare alla trasposizione cinematografica del 2005 a opera di Michele Placido, accompagnato da un cast d’eccezione (Kim Rossi Stuart, Pierfrancesco Favino ed Elio Germano, solo per citare alcuni nomi della lunghissima lista) in grado di vincere ben 8 David di Donatello. Tre anni dopo sarà il momento del piccolo schermo.

Stefano Sollima ne è convinto: Romanzo criminale può diventare una grande serie tv. Sky concorda. E i ventidue episodi, prodotti da Cattleya, vengono trasmessi in anteprima proprio su Sky Cinema. Il Libanese, il Freddo, il Dandi e il resto della banda diventano i protagonisti di due emozionanti stagioni. Come prevedibile il pubblico si divide immediatamente: siamo di fronte a uno dei migliori progetti italiani mai realizzati o a un tremendo esempio per i giovani nonché una bruttissima pubblicità per Roma? I dubbi, bisogna ammetterlo, sono legittimi. Non posso nascondermi, dopo l’ultimo episodio l’ho quasi sussurrato: anche io, come molti altri, sono stato col Libanese. Ecco il rischio più grande: trasformare un gruppo di criminali in eroi, dei modelli. Ma non si può rinunciare alla realtà ponendo così poca fiducia nel giudizio del pubblico stesso: sì, sarò stato col Libanese, ma non ho pensato seriamente di prendermi Roma. Grazie al romanzo di De Cataldo, al film di Placido, alla serie di Sollima una grossa fetta di lettori e spettatori è entrata in contatto con un grande capitolo della storia moderna italiana, accompagnato dai grandi eventi che hanno segnato quegli anni, come il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro o la strage di Bologna.

Per noi appassionati di show televisivi, Romanzo criminale rimane una delle migliori produzioni italiane. Meritevole di menzione nei secoli dei secoli. Spettacolare la cornice della capitale sullo sfondo, splendida l’interpretazione del giovane cast, quasi interamente romano e alla prima esperienza di alto livello. Impossibile dimenticare l’espressione perennemente minacciosa di Francesco Montanari nei panni del Libanese, o l’esuberanza del Bufalo (al secolo Andrea Sartoretti). Obbligatorio chiamare in causa Marco Giallini, il Terribile della serie, un cattivo carismatico più che mai, interpretato da uno degli attori più navigati di tutto il cast. La differenza la fa anche una colonna sonora unica e azzeccatissima, tra hit dance come “You Make Me Feel (Mighty Real)” di Sylvester – dipinto con epiteti da non ripetere dal Libanese e dal Freddo poco convinti – o una “Cuccurucucù” da brividi nella seconda stagione.

Quasi impossibile non appassionarsi alle vicende della banda dopo tutte le ore passate insieme. Alla fine dell’ultimo episodio è innegabile il legame creato con i protagonisti. Da parte mia, arrivano solo i ringraziamenti per questo lavoro, perché Romanzo criminale non deve essere un esempio ma una lezione di storia, e ne abbiamo bisogno un po’ tutti.