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Libri

I fantasmi di Svevo

di Serena Manfrida / 7 settembre

Ci sono alcuni libri che alla prima lettura colpiscono talmente da scolpire interi brani, intere pagine nella nostra immaginazione, pagine che volenti o nolenti ci accompagnano tutta la vita. Così, proprio alla luce del ricordo indelebile che ne abbiamo, temiamo quasi di riprenderli in mano e sottoporli alla prova crudele del tempo, quasi ogni scarto, ogni mutamento riscontrato potesse sottrarci un pezzo della della nostra vita, della nostra storia.

Ho un timore simile nel riprendere in mano una delle opere più importanti del Novecento italiano, Senilità di Italo Svevo, completamente ignorato all'uscita nel 1898, recuperato solo nel 1927 con il successo della Coscienza, amatissimo da Joyce e da Montale: la claustrofobica storia-senza-storia di un uomo a metà, artista a metà, amante a metà, insufficiente alla vita e che da questa insufficienza cerca sollievo nei fantasmi, nelle vertiginose architetture di menzogna e negli alibi che continuamente si fornisce per andare avanti. Vivendo solo con l'esangue sorella Amalia – che scompare sotto i suoi occhi, sempre più invisibile, grigia e triste, senza che il suo male (concretissimo) baleni alla coscienza annebbiata da sogni autoindulgenti del fratello – Emilio Brentani si culla nella piccola gloria passata di scrittore e in una storia d'amore in cui si finge invano distaccato e padrone di sé, e che invece lo travolge con l'impeto devastante del reale.

Oggetto di questo amore è la vivace, bionda e rosea Angiolina, raggiante emblema di salute, giovinezza e spensieratezza, l'incarnazione – guardacaso – di tutto ciò che a Emilio manca. Fresca, sfacciata, popolana, anche lei bugiarda ma mai con se stessa: bugiarda, a differenza di Emilio, non per fuggire il presente ma per accaparrarsene, con tutti i mezzi a disposizione una fetta più larga e appetibile, giungendo a negare l'evidenza degli altri amanti, le sue manovre per sistemarsi, la complicità della famiglia in queste stesse manovre. Bugia legatissima alla realtà, dunque, che su tale realtà pretende di poter agire come agente modificatore. Ben altra la menzogna in cui il Brentani trascina la sua esistenza, che nasce dallo scontro fra desideri smisurati e desolata inerzia, che si nutre di chimere, sovrapponendole come maschere ai volti reali. Solo così Angiolina può apparirgli ora la sprovveduta giovane da “educare”(un pò come la Carla di Zeno nella Coscienza), ora l'amante devota, ora la viziosa traditrice, per arrivare, a storia finita, a fondersi nella sua memoria con l'immagine della sorella morta, in un ideale di bellezza malinconica che stravolge ogni fisionomia o carattere reale.

Una vera e propria fenomenologia della menzogna, questo capolavoro sveviano, ma anche dell'inerzia, della condizione così profondamente novecentesca di un irrimediabile scollamento fra presente e idealità, dell'inettitudine di fronte a una vita che non si sa, o vuole, riconoscere come propria. Di fronte al fallimento esplode la reazione dirompente ma lucidissima dell'autoinganno, dell'invenzione di un sé diverso: in questo caso il personaggio dell'amante distaccato e disinvolto, che, proprio nell'incipit del libro, Svevo ci presenta intenzionatissimo a “non compromettersi in una relazione troppo seria”. Nei progetti di Emilio, nelle sue proiezioni mentali limate da infiniti ritocchi, Angiolina dovrebbe essere l'avventura che rinsangua, il soffio di aria fresca in una vita grigia e oppressa da reponsabilità gravose, il passatempo di cui disporre con netta e rassicurante coscienza della propria superiorità. Eppure sino le premesse su cui egli basa questi progetti sono un'invenzione: le uniche responsabilità del Brentani, da lui accampate come scuse per non potersi impegnare, sono una tranquilla occupazione di impiegato presso una compagnia di assicurazioni e una devotissima sorella, Amalia, che lo ama teneramente e vive al suo servizio; né, d'altra parte, è difficile intuire che Angiolina mal si presta al ruolo della giovane e sprovveduta “vittima" che egli vorrebbe attrubuirle.

Pochissimi gli altri personaggi, in un geometrico, oppressivo gioco di specchi e rimandi: il pittore Balli, amico di Emilio e oggetto delle sue invidie per la sua disinvoltura con le donne e un fascino che, tuttavia, non sembra averlo portato molto lontano; la già citata Amalia, che sfoga il suo silenzioso amore di donna repressa e dimessa proprio per il Balli solo di notte, in agitati sogni di cui ovviamente il fratello ignora la causa. Amalia l'esatto opposto di Angiolina: rassegnata e quieta, di una sua spontanea finezza l'una, come l'altra è spudorata, fracassona, talvolta volgare, tanto è vero che dal Balli viene soprannominata "Giolona".

Ma quello che più stupisce di questo romanzo così profondamente moderno e –non dimentichiamolo– anticipatore di temi fondamentali della psicanalisi nel modo sconvolgente in cui forse solo Svevo in Italia seppe esserlo– è la continua immersione nei pensieri di Emilio, nei suoi inseguimenti di realtà e finzione, la registrazione minuta, complessa ma mai noiosa per il lettore dei suoi autoinganni mai completi, delle falsità che si racconta senza mai crederci sino in fondo, dei propositi subito traditi, delle intenzioni deviate. E la lingua di Svevo –tanto spesso criticata, trovata ostica, ruvida, inadatta– sembra invece accompagnare magistralmente questo moto continuo, senza concessione alcuna alla retorica, senza indulgenza per il proprio personaggio. Un distacco che non arriva però mai alla condanna: la distanza che serve per cogliere il quadro in tutte le sue sfumature.

In definitiva, dopo aver trovato il coraggio di riprenderlo in mano, devo testimoniare che indubbiamente c'è una fitta di dispiacere nell'intaccarne il ricordo. Non può che essere così. Certe pagine mi sembravano più lunghe, avrei giurato che quella frase era diversa…Eppure il tutto continua a lasciare senza fiato: una ricognizione calma e terribile della lacerazione fra aspirazione e realtà, quella divaricazione irrimediabile che, anche solo limitandoci al Novecento italiano, da Tozzi a Moravia a Landolfi e ancora avanti, rappresenta un nodo fondamentale nella poetica di autori pur diversissimi tra loro. Indifferenza, inerzia, noia, senilità: e il dilagare dei fantasmi, che però alla fine ti lasciano ancora più solo, ancora più deluso da tutto. Riprendiamo in mano i libri amati, se non altro per scacciarne un pò.