Flanerí

Cinema

[LostInTranslation] “L’alba della libertà” di Werner Herzog

di Francesco Vannutelli / 3 giugno

Nel suo primo film di produzione hollywoodiana, L’alba della libertà del 2006, l’eclettico, controverso, genialmente originale Werner Herzog si è confrontato con un genere che più classico non si può, per parlare di una guerra che nella traccia che ha lasciato nelle generazioni statunitensi ha raggiunto un rango di sacralità profana, che la rende tangibile e discutibile ma su cui è sempre lecito continuare a interrogarsi: il conflitto vietnamita.

Nel 1966, durante la sua prima missione in Laos, il pilota dell’aviazione statunitense Dieter Dengler viene abbattuto, catturato, torturato e infine imprigionato da un gruppo di Viet Cong laotiani. Costretto in una capanna con un gruppo di aviatori civili americani e asiatici detenuti da prima della guerra, medita un ostinato piano di evasione e vendetta.

La storia vera di Dieter Dengler, nato in Germania ma cresciuto negli Stati Uniti, che il primo febbraio del 1966 precipitò in Laos durante una missione segreta e poi riuscì a scappare dal campo di prigionia sopravvivendo da solo nella giungla, ha sempre suscitato l’interesse di Herzog. Nel 1997, nel documentario Little Dieter Needs To Fly riportò il vero Dengler sui luoghi della prigionia e gli fece interpretare, come fosse finzione, alcuni momenti delle gabbie e delle torture. C’è un riflettersi di interessi, dietro la realizzazione di L’alba della libertà. Perché Herzog avrebbe voluto da sempre, da subito, fare un film di finzione su Dengler. La scarsità dei mezzi finanziari a disposizione lo costrinse al documentario (che comunque reputa, paradossalmente, essere uno dei suo migliori film di fiction). Poi, Christian Bale si è appassionato alla vicenda di Dengler e ha convinto Herzog a riprendere il progetto e i produttori a finanziarglielo, forte della scalata nello star system che il ruolo di Batman gli stava garantendo.

Ci sono i temi classici del cinema herzoghiano, nel rapporto tra l’uomo e la natura e tra l’uomo e la sua stessa natura interiore. Dengler non è in guerra per amor di patria o coscrizione obbligatoria. Lui si è arruolato perché vuole volare, perché il volo è nel suo destino sin da quando era bambino e vide dalla finestra della sua infanzia tedesca a Wildberg, a pochi passi dalla Foresta Nera, volare i bombardieri alleati sopra la sua casa e radere al suolo il suo villaggio. È stato in quel momento che Dengler ha capito che «he needed to fly», come racconta egli stesso nel documentario, come riferisce Christian Bale interpretandolo. È la concretizzazione di un destino inatteso: spettatore incolume di un bombardamento senza senso, che lascia un segno che non è trauma ma anzi ispirazione, finisce per essere lui a bombardare senza neanche conoscere il cosa, il dove e il motivo e a perdere lo slancio del volo e a precipitare in una foresta, di nuovo, dove non è più invaso ma invasore.

È la giungla, a essere prigione, molto più che le canne di bambù che formano le gabbie dei Viet Cong. È la natura invincibile nel suo essere rigorosamente indifferente all’uomo a tenere prigioniero l’uomo stesso, a rendere Dieter e i suoi compagni in fuga invisibili agli elicotteri che potrebbero salvarli e soli nel nulla, divorati dalla fame che ne ha contorto la ragione e il fisico rendendoli giunchi paranoici e ostili.

Lontano da ogni inquadramento ulteriore, Herzog si limita a raccontare la guerra privata di Dengler, non la guerra del Vietnam. È una storia di sopravvivenza, il conflitto è solo lo sfondo. Non c’è interesse a esaltare il valore della resistenza del soldato o a condannare l’illogica natura di ogni forma di conflitto. Dengler, preso come assoluto, incarna la capacità di adattamento, l’ostinazione della progettualità e della sopravvivenza costante non solo dell’uomo ma del senso stesso di essere umani, dello stare al mondo, nell’opporsi alla morte e nel ricercare sempre, comunque , la dignità di una dimensione sociale, nel sorriso di un carceriere o di una funzionaria di partito che imbraccia un fucile, nel ritrovare gli amici nel momento in cui si viene ritrovati e nel poter tornare a volare, un giorno.

Reduce dalla incredibile trasformazione di L’uomo senza sonno, per cui era dimagrito di trenta chili andando avanti a mele e sigarette, Christian Bale per L’alba della libertà è dimagrito di nuovo, di venticinque chili questa volta. In mezzo ci ha infilato i quasi novanta chili di muscoli di Batman Begins. È straordinario, semplicemente. Lo sono anche i suoi compagni di prigionia, e magrezza, Steve Zahan e Jeremy Davies. Si dice che Werner Herzog, per solidarietà con i suoi attori, abbia perso dodici chili durante le riprese del film.

(L’alba della libertà, di Werner Herzog, 2006, guerra/biografico, 123’)