Verso le 5

A Primavera inoltrata, nel mio ufficio, di colpo il pomeriggio alle 5 cambia la luce. Di taglio, finalmente diretta, rende la pariglia al neon e ne umilia gli effetti, annichilendolo. Più calda, più pastellata, la luce delle 5 riesce sempre a sorprendermi (come fa?!) un poco oltre il margine delle mie aspettative.

Non è come quella delle 6 a.m., rinvigorente, di sprone, di possibilità ancora aperte e incombenze che s’affastellano e accompagnano lo scandire delle ritualità del mattino. No: la luce delle 5 è una luce di bilancio. Un’altra X al tabellino, un altro giorno di doveri trascorsi e, anche, un’altra serata che s’affaccia coi suoi (molesti: lo scotto della singletudine) “E dove vado, e che faccio, e chi vedo…” e bla bla bla.

Mi dicono sia questione fisica, il nitore che assumono gli oggetti investiti dalla luce delle 5. Questione di contrasti, per la precisione. Più netti. Sarà. Io, onestamente, la vedo (…) in maniera diversa. Mi pare mi siano meno ostili gli oggetti intorno. Mi ap-paiono d’un tratto saturi di significato, verso le 5; fluorescenti di senso. E non loro, ma mio. Tutto mio. Come a dire che gliel’ho dato io, quel significato, vivificandoli del mio lavoro.

Da qualche tempo vado pensando che c’è profonda differenza tra il consumare esperienze e l’indurle (chiedo perdono, ma meglio di così non lo so dire: ci lavorerò). Tra il sentirsi vivi perché ci si abbandona al fluire di eventi altrui (l’ultimo film, l’ultima mostra, l’ultimo libro…) e l’esserlo perché di quegli eventi si è causa determinante. Io la mia scelta l’ho fatta: lavoro così, lavoro determinando gli eventi.

C’è chi mi fa notare che ci rimetto due volte, a questa maniera. Perché investo energie che dovrei riservare allo svago (e che, lo si pianifica? Lo avverto solo io, il controsenso dell’organizzare… il divertimento?) e perché nessuno concreta per denari e lusinghe la nozione della mia alterità rispetto alla norma.

E questi sono i tempi, no? Questi. Divertirsi è un lavoro, un’occupazione, e lavorare un ingombro ai piani fattuali (il weekend!) e all’espressione del vero sé.

I tempi.

I tempi loro, non i miei. A rifletterci un momento io questa luce d’incanto me la merito. Spalma sulla mia fatica, sulla tenacia della mia sopportazione (e chi non recalcitra, sul posto di lavoro?) un riverbero che nel gioco di specchi e chimere dei modi del consumo temo si stia perdendo (quante nevrosi nascono qui, quante!): la soddisfazione del caro, vecchio, virile e meraviglioso… dovere compiuto.

Quella delle 5, mi sa tanto, è luce di ribalta. Luce di premio.