“La deriva dei continenti” di Russell Banks

di / 5 aprile 2013

«Le loro vite ben presto si trasformeranno da una realtà di un certo tipo – praticamente una non-realtà – in una nuova realtà superiore, suprema. Barattare una vita per un’altra a quel livello equivale a barattare un’assenza per una presenza, una condizione per una sorte. Queste persone non stanno semplicemente cercando di migliorare il proprio destino, stanno cercando di averne uno».

La deriva dei continentidi Russell Banks (Einaudi, 2013) è di uno di quei libri che, una volta letto, lascia un sapore duraturo e quasi tangibile di amaro in bocca. È un libro tosto, crudele e intrigante caratterizzato anche da un certo distacco – a tratti quasi pseudoscientifico – del narratore nei confronti dei personaggi e del loro triste e (non) comune destino.

Bob Dubois e Vanise Dorsinville rappresentano due esistenze umane diverse, in quanto a nazionalità, età, sesso, situazione economica e, infine, personalità, e anche la loro fine è diversa, ma sono accomunati dal grigio che domina le loro vite e dall’illusione di trovare fortuna in una nuova terra apparentemente colma di sogni e oro. Ovviamente, falliscono.

Il lettore segue le due traiettorie, illudendosi che prima o poi si intreccino in modo felice e quasi preconfezionato. Si intrecciano, sì, per brevi pagine del romanzo che sono al contempo tra le più drammatiche, ma quella di Vanise, giovane e coraggiosa donna di Haiti, e quella di Bob, operaio del New Hampshire, sposato, due figlie, amante, lavoro frustrante, rimangono di base due storie parallele e separate che piano ma inevitabilmente si muovono l’una verso l’altra, passando da una situazione problematica all’altra, ancor più travagliata della precedente, e che il lettore trascinato dalla coinvolgente scrittura segue dall’inizio alla fine del romanzo.

Il mito del sogno americano, il declino di un matrimonio, la violenza, la fuga, le disumane condizioni degli immigrati, la globalizzazione, l’instabilità del benessere economico e la morte sono alcuni dei temi indagati tramite una narrazione che procede per sequenze a tratti cinematografiche, molto efficaci. Le singole situazioni funzionano quasi fossero parti autonome, in quanto sono perfettamente indipendenti, così concrete, descritte con la dose giusta di informazioni e immagini, per poi unirsi felicemente nell’immagine complessiva del romanzo.

Il culmine del romanzo è senz’altro raggiunto con le riflessioni “pseudoscientifiche” del narratore, che sembra dare sfogo a un suo pessimismo, diremmo, biologico, paragonando la sbandata esistenza umana agli scontri incontrollabili e imprevisti dei continenti che tra di loro si urtano, si avvicinano, per poi di nuovo spingersi, allontanarsi, cercarsi.

La fine di queste vite inventate – come vuole sottolineare lo stesso narratore nelle ultime righe del romanzo – non segna certo anche la fine della tragicommedia umana: «il mondo così com’è continua a essere se stesso». Tuttavia, anche soltanto sfiorati dalla compassione e magari allo stesso tempo anche meravigliati di fronte a questi destini fittizi, qualcosa, secondo il narratore, possiamo cambiare. «Sabotaggio e sovversione, dunque, sono gli obiettivi di questo libro», scrive Banks, e noi vogliamo sforzarci di essere ottimisti e accostarsi all’idea sua.


(Russell Banks, La deriva dei continenti, trad. di Paola Brusasco, Einaudi, 2013, pp. 496, euro 19,50)

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