“Festa d’amore” di Charles Baxter

di / 21 maggio 2014

L’idea di Festa d’amore è semplice: uno scrittore trascorre il tempo passeggiando nei boschi accanto alla sua casa come «quasi ogni giorno negli ultimi vent’anni». Forse cerca concentrazione, forse va a caccia di storie – la sua selvaggina è quella. Anche quando dovrebbe dormire non smette di camminare. Un amico gli fa notare che sembra un vagabondo, un teppista. E tutto questo non va bene. «TI ci vorrebbe un cane, un cane rende il vagabondaggio legale. Il cane lo legittima». Siamo in America, e gli americani hanno una loro visione delle cose che un europeo non capirà mai sino in fondo.

A ogni modo. L’amico sa che uno scrittore vive di tensioni tutte sue, peculiari. Così gli suggerisce che se è preda di un’impasse creativa forse sarebbe il caso di abbandonare la mera finzione – meglio, la mera invenzione di personaggi e storie immaginarie. E guardarsi intorno, dentro il loro tranquillo quartiere di un posto sperduto nel Michigan, fra caffè, centri sportivi e commerciali.

Charles Baxter, lo scrittore, che è anche il nome del vero autore del romanzo che noi leggiamo, ci pensa un po’ su. E poi decide che quell’idea semplice, persino banale, merita di essere saggiata. Ciò che deve fare è ascoltare, mettersi a sentire ciò che raccontano tizi e tizie dei paraggi, vedere se hanno qualcosa di interessante da dire, qualcosa di essenziale da raccontare sulla propria vita – vedere se funziona.

Scopriamo presto che Charles è un uomo fortunato: i suoi interlocutori sono bravi, ben disposti, non hanno grandi avventure o delitti da narrare, solo vite quotidiane (ancora una volta, persino banali, a meno di non considerare un’attrazione fatale fra lesbiche un prodigio, o il bisogno di un cane da compagnia un mistero) ma le raccontano bene. Se Kathryn non si sente amata a dovere e perde la testa per una donna a partire dalla bellezza dei suoi gesti di raffinata giocatrice di softball c’è da stupirsi? Se il marito non capisce perché viene mollato e si lega dannatamente a un cane per non soccombere alla solitudine e al dolore ci si può meravigliare? Quello che rende tutto amabilmente attraente è in realtà la capacità di Baxter (l’autore empirico questa volta) di intrecciare non solo storie ma punti di vista, sguardi diversi sulle stesse cose e persone che vanno e vengono e rendere perciò ragione della letteratura nel suo significato più profondo di approssimazione alla verità. Lo scrittore americano – per la prima volta tradotto in Italia per i tipi di Mattioli 1885 (dall’infaticabile Nicola Manuppelli) – lo fa lasciandosi attraversare da voci che scorrono una accanto all’altra e rimescolando continuamente le carte delle loro relazioni: perché di questo di stratta essenzialmente in Festa d’amore (romanzo di racconti in un certo senso), di storie d’amore, di rapporti felici e disperati, del desiderio-bisogno di amare e essere amati, dell’eterno ritorno di questa incancellabile condizione umana. C’è una leggerezza di fondo in questo libro, una dichiarata disponibilità a prendere il buono delle cose – per quante corna e travagli e meschinerie affliggano uomini e donne, per quanto la scrittura non si privi dell’affondo crudele; non è materia corrente nella letteratura seria ma in casi come questo è benvenuta.

(Charles Baxter, Festa d'amore, trad. di Nicola Manuppelli, Mattioli 1885, 2014, pp. 300, euro 17,90)

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