“Roderick Duddle” di Michele Mari

di / 23 luglio 2014

Quando avevo quattordici anni ho trascorso un’estate, l’estate più piovosa della mia vita, a leggere romanzi di avventura, mentre dalla finestra aperta respiravo l’odore della pioggia e immaginavo rocambolesche peripezie attraverso paesaggi oscuri e misteriosi. Dieci anni dopo, inaspettatamente, ho provato la stessa sensazione perdendomi fra le pagine di Roderick Duddle di Michele Mari (Einaudi, 2014),

Roderick Duddle è uno di quei libri che iniziano con una mappa. Come quei volumi ingialliti con qualche pagina in meno che riempiono le librerie dei nonni, quei romanzi che sappiamo fin dall’inizio che ci porteranno da qualche parte. E fra le sue pagine vivono temibili personaggi dagli strani nomi, come Salamoia e Scummy, c’è una locanda buia e malfamata popolata da ubriaconi, marinai e vagabondi, e c’è un ragazzino di dieci anni di nome Roderick, figlio di una prostituta, erede di un’incredibile fortuna e protagonista di una fitta serie di misteriosi intrighi, sullo sfondo di un’Inghilterra ottocentesca di dickensiana memoria. Ma le suggestioni che le pagine di questo libro ci riportano alla mente non si fermano qui, e in un attimo ripensiamo ad alcuni dei più bei romanzi d’avventura mai esistiti, il pensiero si sofferma su Stevenson e Melville, ma c’è anche un momento, brevissimo, in cui ci ricordiamo di Steinbeck e del suo Uomini e topi, proprio quando ci troviamo al cospetto del personaggio di Lennie. E l’elenco sarebbe ancora lungo, ma non è forse più divertente riscoprire queste tracce durante la lettura?

La narrazione di Mari è priva di freni e restrizioni, è la scrittura di chi con le parole ci gioca e si diverte, rincorrendo la propria ispirazione e nient’altro, senza cadere in futili virtuosismi atti a conquistare l’attenzione del lettore. Un lettore con cui Mari intrattiene un dialogo continuo, diretto e provocatorio, arrivando a interrogarlo, a pungolarlo ironicamente e persino, talvolta, a farsi beffe di lui: «Chi mi dà il diritto di continuare? Me lo dai tu, autorevole lettore?»

Mari conosce colui che divora le sue pagine con morbosa curiosità, ne conosce le  debolezze, e fa di quest’arma una provocazione continua: «Integerrimo lettore, condannerai tu quest’uomo per la ricchezza della sua fantasia? Scaglierai la prima pietra della riprovazione? Attenderai invano, se speri che lo faccia io per te: angosciati anzi che io non venga a spiarti, per narrare di te».

Non vuole essere un romanzo di formazione, questo. Non trapela la minima intenzione di scrivere una storia edificante né di trasmettere una stucchevole morale: anche i personaggi più biechi, nella loro instancabile e spietata lotta per il potere, non fanno altro che suscitare autentica curiosità.

Le pagine sono quasi cinquecento, ma fin dall’inizio sembra già uno di quei libri che finiscono troppo presto, il ritmo è serrato e interrompere la lettura è davvero difficile: ci sono tante, troppe cose che succedono, e non si può aspettare un minuto di più.

Ci sono dei libri che, prepotentemente, privano il lettore del suo interesse per tutto il resto fino a quando, esausto ma felice, non legge la parola fine. Ecco, Roderick Duddle è uno di questi.

(Michele Mari, Roderick Duddle, Einaudi, 2014, pp. 496, euro 22)

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