[Best 2015] I dischi

di / 28 dicembre 2015

Così abituati alle tante chiacchiere attorno al mondo della musica che è diventato un imperativo vitale concentrarsi solamente sulla materia prima. Tra Facebook e annessi social, giornali, testate e siti sappiamo benissimo come passa le sue giornate la pop star di turno, quale oscenità ha compiuto durante l’ultimo concerto la piccola Miley, la cauzione di Justin B., e in che modo stravagante i re dell’hip-hop sfoghino la loro pseudo-inventiva e i conti in banca. Le stesse case di produzione e gli squali al comando consapevoli del basso livello di selezione del pubblico attuale si accontentano di produrre un luccicante involucro senza la minima sostanza. Sta a noi amanti ed addetti ai lavori essere sempre obiettivi andando oltre il primo impatto e soprattutto parlare e valorizzare le – fortunatamente – tante realtà in cui si realizza ancora il contrario: ovvero la sostanza batte l’apparenza. Lontane dai riflettori più accesi e spietati continua ad esistere un magnifico universo fatto di nomi indipendenti uniti dal più importante dei legami: la bella musica. Solo e semplicemente quella. Vi verranno presentati a breve, abbiate solo un attimo di pazienza.

Alla fine del 2015 un altro aspetto interessante da notare riguarda la fruizione del prodotto discografico. I bei tempi in cui si facevano chilometri e chilometri per andare in quel salvifico negozio di dischi in grado di possedere l’unica copia di quell’album introvabile sono terminati. Realtà come Spotify permettono di ascoltare tutto e anche di più riguardo alla quasi totalità dei gruppi in circolazione su svariati dispositivi e quando questi non sono in catalogo subentra YouTube o il caro vecchio download illegale. Ciò comporta la definitiva morte del disco? Tutt’altro. Più dischi si sentono e più se ne comprano. Se si ama davvero la musica, ovviamente, e i recenti Record Store Day e boati nel mercato del vinile dimostrano che nonostante il dominio dello streaming e del download il mondo dei “feticisti” musicali è tutt’altro che sparito. Detto ciò, anche noi della redazione musicale di Flanerí ci teniamo a presentavi la musica che più ci ha colpito in questa annata. A volte l’ascolto di un disco ci offre proprio quello che ci aspettiamo, a volte delude, a volte sorprende ed entusiasma e tutte le derivanti sensazione cerchiamo di esprimerle con le nostre parole. In un fine 2015 dominato sotto tutti i punti di vista da Adele – e poteva dirci parecchio peggio, vedi i Coldplay – abbiamo fatto un attimo mente locale e ci siamo interrogati sui dischi più rappresentativi di questa annata. Tali scelte rappresentano le peculiarità e le vocazioni di ogni autore ma il risultato alla fine è molto variegato e tra nomi italiani e stranieri avrete una riuscita panoramica del meglio della scena musicale alternativa del 2015. Buona lettura e buon ascolto!


John Grant, Grey Tickles and Black Pressure

Una confessione, una catarsi, un racconto di amori e demoni. Un cantautore che oscilla con superba maestria tra elettronica e orchestra, rimanendo di un impeto ed intensità con pochi paragoni.

Courtney Barnett, Sometimes I Sit and Think, and Sometimes I Just Sit

La ragazza con cui vorremmo andare a tutti i concerti indie e parlare di musica fino a tardi. Titolo geniale per un purissimo e frizzante disco d’esordio. Una lietissima conoscenza.

A Girls Name, Arms Around a Vision

La bellezza della wave in tutte le sue forme, dal dark al post-punk in un disco teso ed ispiratissimo.

Bill Fay, Who Is the Sender?

Squisitamente sfuggente a ogni categoria interpretativa, Bill Fay canta la solitudine, il peccato e la redenzione con una tranquilla e pacata perizia ignota anche ai grandi maestri del genere. Una musica intima, religiosa; composta per voce, pianoforte e un’orchestra in miniatura, che calmerebbe gli oceani in burrasca senza trucchi, inganni o furbate di sorta.

Colin Stetson & Sarah Neufeld, Never Were the Way She Was

In piena continuità con la trilogia New History Warfare, Stetson e la Nuefeld propongono una ricerca musicale fondata sull’elemento antropico della musica, che sposta continuamente i confini del suono verso un linguaggio dove melodia e armonia diventano concetti ampiamente superati. In una interpretazione del tempo che procede a spirale, sassofoni e violino costruiscono un percorso sonoro nel quale anche i confini dei brani risultano astratti.

IOSONOUNCANE, Die

Caos e disordine in queste sei storie diverse. Un uomo ed una donna. Si passa da suoni meccanici e ossessivi al cantautorato in stile Ivan Graziani (Stormi). Die come morire o come giorno? Forse entrambi. Ogni traccia nasce e muore nel giro di otto/dieci minuti, dentro sembra esserci un secolo. IOSONOUNCANE e la sua svolta egoistica.

Calcutta, Mainstream

Il fenomeno del momento, quello della «svastica in centro a Bologna ma era solo per litigare». Non è facile parlare di questo disco, anche perché ha diviso lo spietato mondo dell’indie. Beh, Calcutta è simpatico, ha l’innegabile capacità di catturare istanti di vita (dei fuorisede e di chi in generale si sente fuoriluogo), una voce imperfetta, l’abilità di commuovere. Mainstream è bello, “Limonata” e “Frosinone” sono bellissime, il video di “Cosa mi manchi a fare”, girato tra Centocelle e il Pigneto, ancor di più.

Foals, What Went Down

La band britannica giunge, dopo una pausa di quasi due anni, al suo quarto album. Tanto rock, un riff ancora una volta accatticavante e l’equilibrio giusto. Per chi già li conosce questo lavoro non ha bisogno di molte presentazioni, mentre chi li ascolta per la prima volta rimarrà positivamente sorpreso. Unico rischio, l’effetto rock-troppo pop dei Coldplay. Quindi godiamoceli finché siamo in tempo.

Ratatat, Magnifique

Rock, elettronica e funk tutte insieme per questi due ragazzoni americani che non parlano quasi mai ma che fanno ballare con suoni che sembrano usciti dai videgiochi e dalle serie tv degli anni ’90. Sembrano quasi i Daft Punk, onore a loro e avanti con queste distorsioni.

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