“La belva”: un action movie che parla italiano

Di Martino e Gifuni dimostrano che un altro cinema è possibile in Italia

di / 18 dicembre 2020

Sarebbe un vezzo da antiquari affermare che il cinema italiano è morto con i grandi del passato. La belva, uscito a fine novembre su Netflix, del giovanissimo Ludovico Di Martino (classe 1992) ci dimostra il contrario. Sta già accadendo da un po’ di tempo che la generazione tra i Settanta e i Novanta sforni registi in erba molto interessanti, capaci di confrontarsi con la storiografia cinematografica in maniera tutt’altro che banale.

La belva, per esempio, guarda agli action movie statunitensi, i film di seconda categoria tutti botte e scazzottate, riuscendo a evitare quel sentore emulativo che avrebbe di sicuro affossato il film. De Martino, invece, propone una pellicola facilmente confondibile con una produzione americana, e irriconoscibilmente italiana, complice anche il buio, che scombussola l’orientamento spaziale e temporale dello spettatore: se non guardassimo La belva in lingua originale, potremmo pensare di essere in uno dei tanti sobborghi statunitensi (quelli dei b-movie di seconda categoria) dove i pugni la fanno da padrone.

Questo anche grazie all’ottima catarsi di Fabrizio Gifuni, rasato a zero e con un bomber verde, potentissimo nella sua versione “cattiva”, capace di cambiare il registro recitativo al quale siamo abituati per vestire letteralmente i panni del bruto di poche parole che mena pugni e si rialza, le prende e si rimette in piedi, viene ferito e si ricuce da solo. Leonida Riva, il figlio di nessuno, soprannominato “la belva”, non si risparmia per salvare la figlia: buca la notte, nonostante i demoni del passato. Picchia, ferisce e uccide, quasi come nei fumetti, dove le onomatopee hanno la meglio sulle parole. I suoni predominanti del film sono, infatti, quelli della carne che si spacca, delle ossa che si rompono, dell respiro che arranca. Un mondo al quale ci ha abituato il cinema americano, non di certo il nostro.

Allora, sebbene il film non sia perfetto, offre sicuramente un valido spunto per affermare che siamo pronti a sperimentare narrazioni diverse, senza incorrere nell’errore di copiare male o scimmiottare generi che non sono nostri. Come era già successo, per esempio, per Lo chiamavano Jeeg Robot, dove il primo vero “supereroe” italiano bucò lo schermo, scardinando l’idea che un certo tipo di film potesse parlare solo una lingua. Con risultati qualitativamente diversi, anche La belva riesce nell’intento: dimostrare che i giovani registi sono pronti a cambiare il nostro cinema.

(La belva, di Ludovico Di Martino, 2020, azione, 90’)

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LA CRITICA

Sentiremo ancora parlare di Ludovico Di Martino: La belva promette sicuramente qualcosa di buono per il futuro. Fabrizio Gifuni, invece, meriterebbe un premio per la sua interpretazione: forse un bruto così in Italia non lo avevamo ancora visto.

VOTO

7/10

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