Viaggio intimo, tra fari e collezionismo

Su “Quaderno dei fari” di Jazmina Barrera

di / 10 gennaio 2022

Copertina di Quaderno dei fari di Barrera

«Non ho la disciplina del diarista. Manco di ordine. Ci sono cose che mi vengono in mente dopo, cose che mi dimentico, o che penso in seguito o che finisco di scrivere in un altro momento. Credo che questo, in un diario, significhi barare. […] Quindi questo non può essere un diario. È solo un quaderno.»

Quaderno dei fari (La Nuova Frontiera, 2021, trad. Federica Niola) è l’approdo nel panorama letterario italiano della scrittrice messicana Jazmina Barrera. Il libro potrebbe essere definito un memoir atipico che fissa in parole la passione dell’autrice di collezionare fari. Fermarsi a questo, però, sarebbe riduttivo; equivarrebbe a rimanere sulla soglia di quello che invece si dimostra essere un testo ben più profondo: saggio raffinato, trattato letterario e riflessione introspettiva condotta con sincerità e acume.

«L’atto di collezionare è una forma di evasione. […] si evade dalle mancanze e dai vuoti. […] Di fronte al timore della deriva, il collezionare. Collezionare fari, per esempio, conferisce una direzione, per quanto arbitraria. Diventa dunque non soltanto un modo di scappare, ma anche di costruire. Si può creare per mezzo della fuga».

Con l’inestimabile pregio di narrare sommessamente, in modo intimo, pur mantenendo un lucido vigore, Barrera sceglie con cura i propri compagni di viaggio. Oltre ai fari, alle loro storie e alla loro evoluzione, a farle compagnia c’è anche chi di fari ha narrato, come Stevenson, Walter Scott, Virginia Woolf, chi li ha dipinti come Hopper o chi li ha omaggiati nei propri film come Bergman.

E poi ci sono le persone che l’autrice ha incontrato lungo il percorso, chi per poco, chi invece ha assunto valore fondativo. Forse è per questo motivo che leggendo Quaderno dei fari ci si sente un po’ voyeur, ma tutto ciò Barrera lo sa e non se ne cura, come quando ci si scrolla di dosso lo sguardo di uno sconosciuto incontrato per strada. Lei continua a passeggiare per le pagine del libro, rivolta verso una meta che in alcuni casi sembra imperscrutabile. Eppure, quand’anche capitasse di perdersi, ecco che, immancabilmente, ci si ritrova sempre ai piedi di un faro, ultima propaggine antropica in costante dialogo con la natura.

Ed è proprio una volta arrivati alla conclusione del viaggio, che Barrera inizia a scoprire le sue carte. Quanto intuito in modo velato durante tutta la lettura del libro sembra definirsi, compiersi. Così il testo inizia a curvare su sé stesso per chiudersi come un anello e prendere commiato dai propri lettori tornando in qualche modo al punto di partenza, all’inizio della collezione dei fari e della stesura stessa del quaderno, il quale si configura come un «appunto per la memoria».

Essere colti dal mal di mare seguendo questi vortici narrativi è possibile, quello che fino a un momento prima si è creduto un portolano su cui fare affidamento sembra confondere le sue coordinate. Come se non fosse più chiaro il punto di arrivo di questo viaggio fisico, mentale, letterario. Faro dopo faro, la scrittrice ci ha spinti a vagabondare, talvolta in modo distratto. Ma i fari – reali, perduti o metafisici − mai vengono meno al proprio ruolo, e conducono i lettori fuori dei pericoli e delle insidie della tempesta che talvolta agita la scrittrice. E, alla fine, con lo strappo deciso e inaspettato di chi finalmente ha trovato la forza di confessare, si delinea all’orizzonte lo scopo preciso che ha scandito una simile peregrinazione.

A ogni modo, una cosa occorre tenere a mente: collezionare fari può avvicinarsi a un’idea di bellezza troppo simile alla morte. Nel palazzo-isola dove Barrera ha scelto di abitare, il suo appartamento è diventato l’equivalente di un faro che la separa dal mondo esterno. E se da una parte questo le ha permesso di lenire il dolore e curare le proprie ferite, allo stesso tempo vi è il rischio di trovarsi rinchiusi in una torre dalla quale è sempre più difficile scendere. Fin quasi alla trasformazione di Barrera stessa in faro.

«Certe collezioni saranno sempre incomplete e a volte è meglio non portarle avanti». Così, accettare il limite e l’incompletezza segnano l’inversione di rotta di Barrera, e di chi leggendo ha viaggiato con lei.

Quando la traversata in mare finisce, o al limite ci si ferma momentaneamente in qualche porto sicuro, quando si trova il coraggio di tornare sulla terraferma, magari alla ricerca di nuove collezioni-ossessioni, una consapevolezza continuerà a darci conforto e a guidarci: «I fari resteranno sempre lì, per quando ce ne sarà bisogno».

 

(Jazmina Barrera, Quaderno dei fari, trad. di Federica Niola, La Nuova Frontiera, 2021, 128 pp., euro 15, articolo di Giulia Eusebi)

 

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