Il crimine senza fine del secolo

Su “Trilogia della guerra” di Agustín Fernández Mallo

di / 15 giugno 2022

Copertina di Trilogia della guerra

In Prima della pioggia, film del 1994 del regista macedone Milcho Manchevski sul conflitto balcanico, appare spesso la seguente frase, molto esemplificativa della natura della guerra: «Il tempo non muore, il cerchio non è rotondo». La guerra si rinnova nel tempo, ma nel rinnovarsi risulta sempre uguale a sé stessa: cambiano gli attori, ma le macerie e lo sradicamento risultano sempre gli stessi.

Questo discorso sembra calzante anche per Trilogia della guerra dello spagnolo Agustín Fernández Mallo (Utopia, 2022), libro che segna il rilancio dell’autore spagnolo dopo un primo tentativo di pubblicazione da parte di Neri Pozza con Il sogno della Nocilla nel 2007. Questo libro è un insieme di tre storie – per questo il titolo – diverse fra loro ma legate da uno stesso fil rouge: non tanto la guerra, quanto il “postguerra”, ovvero gli effetti e le tracce del conflitto nelle vite e nei luoghi ritratti dalle tre storie. Uno scrittore sull’isola di San Simón che con la scusa di un convegno sulle reti digitali si mette sulle tracce della guerra franchista; Kurt Montana, un ex ufficiale della guerra in Vietnam che millanta di esser stato il quarto uomo a viaggiare sull’Apollo 11; una donna sulla costa della Normandia alla ricerca di sé e del suo passato. Tre storie diverse, ma da considerarsi capitoli di un unico grande libro che è, per dirla à la W.G. Sebald, una «storia naturale della distruzione»: della storia, cioè, della guerra.

Non è un caso che si tiri in ballo Sebald, poiché il modo di procedere di Fernández Mallo è lo stesso. Il primo aspetto che i due hanno in comune si può riscontrare a livello di contenuto: non solo la presenza di divagazioni, ma anche l’impiego della tecnica del patchwork nell’uso di immagini e di testi letterari di varia natura, che vanno da Un poeta a New York di Federico García Lorca al racconto breve Multiproprietà di Jeffrey Eugenides. Questo dato è interessante, in quanto Fernández Mallo è fra i fondatori della “generazione Nocilla”, gruppo letterario spagnolo noto anche come “afterpop”, che deve il nome a una marca di crema spalmabile spagnola a base di cacao e nocciola e che teorizza la frammentarietà del testo, l’interdisciplinarità, l’uso di testi altrui, l’ibridazione di generi letterari e la commistione di cultura alta e bassa. Questa idea dell’ibridazione è stata approfondita nel saggio del 2018 Teoría general de la basura (Teoria generale della spazzatura, inedito in italiano), secondo cui si fa arte e letteratura a partire dai residui di ciò che ci ha preceduto.

Un altro elemento che lega Fernánez Mallo a Sebald è lo stile. Come Sebald, anche l’autore spagnolo utilizza un fraseggiare ipotattico – meno estremo, però, rispetto all’autore tedesco –, fatto di frasi secondarie che si incastonano l’una nell’altra per riprodurre una concatenazione tematica che stordisce il lettore e riproduce lo smarrimento e lo sradicamento causati dalla guerra. Allo stesso tempo, Mallo utilizza una struttura ad anelli, tipica non solo del già citato Prima della pioggia – anch’esso tripartito –, ma anche dello stesso Sebald e di Daniel Mendelsohn. Nel suo Tre anelli, l’autore aveva presentato questa particolare struttura narrativa come un abbandonarsi a una digressione che «si rivela in realtà un cerchio, dato che la narrazione finisce per ritornare alla storia nel punto esatto in cui se n’era discostata». Questo ritorno, però, continua Mendelsohn, è segnalato «dalla ripetizione di quella stessa formula fissa o scena ricorrente che aveva marcato il momento del distacco». Qui entra in gioco un tema tanto caro a Sebald: la coincidenza, che, come sottolinea Vanni Santoni in un suo articolo su Trilogia della guerra per «La Lettura», risulta presente anche nella narrativa di Fernández Mallo. In questo caso, la coincidenza – o eco, come scrive Santoni – serve per rimediare a un’apparente assenza di collegamento fra i tre libri.

Se, dunque, in Prima della pioggia le tre parti sono congiunte dal ricorrere di una frase, e le quattro storie degli Emigrati di Sebald sono connesse grazie all’onnipresente figura del cacciatore di farfalle, le tre storie – o i tre anelli – di Fernández Mallo sono collegate fra loro dal ricorrere di diversi elementi: la frase «The Crime of the Century», il verso del poeta Carlos Oroza «è un errore dare per scontato ciò che fu contemplato», la bakery Antonio’s o il riferimento al Kentucky Fried Chicken e alle immagini del vomito e dell’astronauta. Questi elementi di coincidenza sono, però, da ricollegarsi alla teoria della spazzatura citata prima, che riecheggia nelle parole dell’uomo che nel primo libro si spaccia per Salvador Dalí:

«“Ragazzi, non si dovrebbe riutilizzare la spazzatura, bisognerebbe lasciarla in pace, la spazzatura un giorno o l’altro ci seppellirà, ci farà fuori, ma non per eccesso, bensì per difetto, se ricicliamo tutto, dove andrà a finire la memoria? Come ci riconosceremo nel passato se tutto viene radicalmente trasformato? […] Se la eliminassimo o la trasformassimo del tutto, se la riciclassimo completamente, ci separeremmo dalla Storia, dalla nostra Storia, ed entreremmo in una specie di realtà parallela rispetto alle civiltà che ci hanno preceduti e con cui siamo paradossalmente imparentati […]”».

La spazzatura è da intendersi in senso metaforico: gli elementi di coincidenza che ritornano nelle tre storie sono parti di quella che nel terzo libro viene definita «storia a frattale», ovvero un susseguirsi di strati e strati di Storia in cui i traumi della guerra vengono sepolti creando una Storia altra che spetta ai personaggi riscoprire – come succede, di nuovo, in Austerlitz di Sebald, dove dietro al Fort Breendonk o alle abitazioni del vecchio ghetto di Terezín si nascondono le tracce delle atrocità dei nazisti. Lo scrittore del primo libro, per esempio, scopre che dietro l’albergo e la sala conferenze dell’isola di San Simón si cela un vecchio campo per prigionieri della guerra civile spagnola. Il fantomatico astronauta Kurt Montana del secondo libro, invece, vede nelle parate del 4 luglio, nella sua reclusione alla Residenza – una clinica situata in Florida – e nei cavi della linea elettrica di Los Angeles i suoi trascorsi nella guerra in Vietnam. La donna del terzo libro, infine, si perde nei ricordi: la forma a pistola del Museo Guggenheim;  le pietre generatesi dall’esplosione della bomba nucleare a Hiroshima osservate al museo Einstein di Berna; la porcellana cinese, il cui termine inglese “bone china” rimanda non solo alla polverizzazione delle ossa di animali con cui si realizzava, ma anche alle vittime del colonialismo inglese.

Le tracce del passato della guerra perseguitano, dunque, i tre protagonisti, costringendoli a riconoscere l’esistenza di un «lato B del tessuto della nostra realtà, a tal punto sconosciuta che ci dedichiamo a soppiantarla». Quella rimossa della guerra è realtà che va accettata, poiché necessaria per il cambiamento e il progresso. Anche se, come afferma la donna del terzo libro, noi siamo «il risultato di un’incessante falsificazione», frutto di un continuo lavoro di cancellazione del passato, i morti del passato rivendicano il proprio posto nel presente. Ed è così, allora, che posti come la bakery Antonio’s, l’isola di San Simón o la costa della Normandia gremita di gente in campeggio sono il frutto della negazione e della falsificazione della Storia, sia per proteggersi da un trauma che per nascondere il proprio coinvolgimento nel crimine del secolo, o meglio, dei secoli: la guerra, nuova e antica allo stesso tempo, che distrugge la nostra civiltà ma che è necessaria per far andare avanti il progresso, sebbene questo sia fatto con le ossa di tanti innocenti.

«Siamo il nostro passato morto, siamo tutte le bare che ci hanno preceduti». Così afferma la madre di Kurt, e così si potrebbe riassumere la Storia secondo Trilogia della guerra. Agustín Fernández Mallo riesce a confermare e a portare su un altro livello quello che W.G. Sebald ha raccontato prima della sua morte nel 2001: la nostra è una “storia naturale della distruzione” fatta di silenzi e rimossi, di morti che cerchiamo di nascondere per non ammettere a noi stessi la colpa di aver perpetrato il Male e la distruzione ai fini del progresso; siamo la somma dei residui della spazzatura della guerra, un “crimine del secolo” perpetuo che ci rende quello che siamo attraverso le macerie che restano.

 

(Agustín Fernández Mallo, Trilogia della guerra, traduzione di Silvia Lavina, Utopia Editore, 2022, 456 pp., euro 20, articolo di Alberto Paolo Palumbo)

 

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