“Timothy Leary. Una biografia” di Robert Greenfield

di / 15 ottobre 2012

Fu cadetto a West Point, professore ad Harvard, scrittore, hippy, guru dell’LSD, star, fuorilegge, tossicomane, pacifista, fu definito dal Presidente Nixon l’individuo più pericoloso d’America. Fu uno nessuno e centomila. Negli anni ’60 lo si poteva trovare a una marcia per la pace, a un raduno dell’estrema sinistra, in Messico in cerca di funghi allucinogeni, a un convegno di psicologia e psichiatria, a New York con Allen Ginsberg e Jack Kerouac, in Svizzera con Andy Warhol e Roman Polanski, in Algeria con il leader delle Pantere Nere braccato dall’FBI, in clandestinità con l’organizzazione terroristica degli Wheaterman, in Canada in una stanza di hotel con John Lennon a registrare l’inno pacifista “Give Peace a Chance”, in una cella di un penitenziario californiano di massima sicurezza intento a dialogare di vita e di morte con Charles Manson. «Be here now», recita una massima hippy: essere qui ora, vivere continuamente nel presente. Nessuno c’è riuscito più di Timothy Leary. Probabilmente questo nome non dirà molto alla maggior parte di voi ma se siete amanti della cultura degli anni ’60 e ’70 (anche se forse sarebbe meglio parlare di controcultura) non potrete non appassionarvi nel leggere il lungo ritratto (oltre 900 pagine) a lui dedicato: Timothy Leary. Una biografia, di Robert Greenfield (ex condirettore dell’edizione inglese di Rolling Stone) edito da Fandango Libri. Corposa ma scorrevole, la biografia di questa vita così surreale ci narra ben più che la storia di un uomo offrendoci la cronaca di un’epoca intera.

Il momento chiave nella vita di Leary si ha il 9 agosto 1960. Mentre si trova in Messico per concludere un libro poi rimasto incompiuto, l’allora rispettato psicologo, vittima di una crisi di mezza età (di lì a poco compirà 40 anni), decide di dare una svolta alla sua esistenza e di provare, durante un rituale dei nativi americani, alcuni funghi allucinogeni contenenti psilocibina in grado di trasmettere esperienze trascendentali: «Ero un uomo di mezza età coinvolto nel processo di decadimento che dalla mezza età conduce alla morte. La gioia di vivere, la mia apertura sensoriale, la mia creatività, stavano scivolando giù verso un baratro». Sfortunatamente per lui, per le sue numerose donne e per i due figli, nei successivi anni il baratro verrà comunque raggiunto più e più volte. Tornato dal Messico insieme ad alcuni colleghi e amici, decide di creare l’Harvard Psychedelic Project, con l’intento di verificare dapprima l’effetto della psilocibina e poi quello dell’LSD sulla mente umana. Sfuggito di mano il progetto (facile intuirne le cause), il gruppo di studiosi viene allontanato dall’Università e si trasferisce in una villa vicino New York per continuare le ricerche. Tuttavia, da quel momento in poi, di accademico, non ci sarà più niente.
Nell’agosto del 1964 dà alle stampe, insieme a Richard Alpert e Ralph Metzner, quello che diverrà in poco tempo la bibbia dell’LSD: The Psychedelic Experience: A Manual Based on the Tibetan Book of the Dead. Il libro è sotto tutti gli aspetti un manuale per predisporre i fruitori dell’acido lisergico a vivere al meglio l’esperienza dei loro “trip”: «Se vi siete lasciati alle spalle il vostro ego la vostra mente non potrà cadere in errore. Abbiate fiducia nel vostro essere divino, nella vostra mente, nei vostri compagni di viaggio. Ogniqualvolta sarete presi dal dubbio spegnete la vostra mente, rilassatevi, lasciatevi portare dalla corrente». Messo ormai ai margini dalla comunità scientifica, nel giro di pochi anni Leary diviene un guru e un messia per la generazione dei giovani ribelli e degli hippy e, al tempo stesso, un nemico pubblico per le autorità e per i padri e le madri terrorizzati sia dall’influenza sempre maggiore dell’uomo (alimentata anche da una sua dilagante presenza nei media) che dal rapido diffondersi fra i ragazzi delle droghe cosiddette ricreative (bisogna tener presente che fino al 1967 negli Stati Uniti l’LSD non è una sostanza proibita). Nel 1966 pronuncia a un convegno il suo discorso più famoso, immediatamente accolto come un mantra dai suoi discepoli: «Oggi il mio consiglio al popolo americano è questo: se prendete sul serio il gioco della vita, se prendete sul serio il vostro sistema nervoso, se prendete sul serio il processo dell’energia, allora quello che dovete fare è ACCENDERVI (turn on) SINTONIZZARVI (tune in) SGANCIARVI (drop out)», concludendo: «La rivoluzione è appena cominciata … andrà tutto bene». Ma non per lui purtroppo.

Lungi dal fare un’agiografia, Greenfield ci narra piuttosto la storia di un uomo intelligente ma spesso incoerente che cercando la spiritualità è finito col diventare una star e con l’amare il lusso, le belle donne e l’edonismo sfrenato. La storia di un pessimo marito e di un padre, se possibile, persino peggiore, con un ego in grado di sopportare quasi tutto tranne il venire dimenticato e l’annoiarsi. Lo stesso uomo, del resto, che, un giorno, incontrando Andy Warhol ha affermato: «In America ci sono solo tre geni: io, te e il terzo che cambia di continuo».
Dopo la sua morte, avvenuta nel 1996, sette grammi delle sue ceneri sono state mandate nello spazio sul missile Pegasus, partito dalle Isole Canarie. Deve essere stato un gran bel trip !

(Robert Greenfield, Timothy Leary. Una biografia, trad. di Alessandro Ciappa, Fandango Libri, 2012, pp. 947, euro 29,50)
 

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