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Libri

Quando un libro si fa corpo

Su “Riproduzione” di Ian Williams

di Giulia Eusebi / 20 giugno

Nel mondo esistono un numero pressoché infinito di generi di lettori, ma a voler sintetizzare e restringere il campo si potrebbero identificare due tipologie: ci sono lettori che eludono i paratesti del libro timorosi di guastarsi una qualche sorpresa e così sfogliano veloci frontespizi e occhielli e arrivano dritti dritti al “capitolo uno”, vero uscio del romanzo appena preso in mano; altri, invece, indugiano tra copertina e risguardi, come a voler entrare nel nuovo mondo che di lì a poco conosceranno con il giusto bagaglio di informazioni che – ritengono – permetterà loro di affrontare il viaggio con maggiore consapevolezza. A ogni modo, che uno appartenga al primo o al secondo gruppo, che lo scopra a pagina 532 o aprendo le bandelle ancor prima di iniziare il libro, chi entra in contatto con il massiccio parallelepipedo intitolato Riproduzione (Keller, 2021) e partorito dalla mente di Ian Williams verrà sorpreso da una frase granitica: «Non tutti sono fatti per riprodursi».

In un periodo storico, quello attuale, che si interroga nuovamente e ancor più a fondo su temi quali l’aborto e la complessità dei legami famigliari, l’apparente cortocircuito tra il titolo dell’opera e l’affermazione presente al suo interno non fa altro che portare allo scoperto la tensione emotiva e narrativa che scorre dentro quello che a ragione si può definire un esperimento letterario di pregevole fattura.

Riproduzione è il romanzo primogenito di Ian Williams, poeta e scrittore, nato a Trinidad e cresciuto nella canadese Brampton, che proprio a Brampton ambienta la sua complessa prova narrativa, la quale gli è valsa il prestigioso Giller Prize, nello stesso anno (2019) in cui era in lizza anche la veterana e amata Margaret Atwood con I testamenti.

Riproduzione racconta la storia di una famiglia atipica in modo altrettanto atipico. Una famiglia che si origina dall’incontro fortuito di Felicia ed Edgar in una stanza di ospedale, mentre attendono che le loro madri muoiano. Felicia Shaw, giovane nero virgulto caraibico, appena arrivata sul suolo canadese, si trova a condividere lo stesso ossigeno – o più precisamente a respirare la nicotina – di Edgar Gross, rampollo indolente di una bianchissima famiglia tedesca, svogliatamente avviato verso la mezza età e con una pigra inclinazione predatoria.

Siamo a metà degli anni Settanta, e cosa succede quando due persone, quasi loro malgrado, uniscono i propri patrimoni genetici? I ventitré doppi capitoli della prima parte di Riproduzione lo raccontano in modo cromosomicamente chiaro: ne viene fuori un bambino che nelle intenzioni vorrebbe essere un punto fermo, una tregua, e che per questo è benedetto con il nome di Armistizio, ma che poi nella quotidianità viene chiamato Army: allora il lettore non si deve stupire se il suo ingresso nella storia sarà tutt’altro che pacifico.

E se Army è il primo frutto di questa sgangherata famiglia, il libro ci accompagna lungo un arco di tempo che copre all’incirca quarant’anni e ci permette di conoscere anche il lascivo Oliver, proprietario della casa in cui Felicia si ritrova ad abitare, e i figli di lui Heather e Hendrix, fino ad arrivare all’ultimo in questa linea genealogica – che non per forza interessa legami di sangue – ovvero il sovversivo Chariot detto Riot, il cui nome parla ben prima delle sue azioni.

Una famiglia allargata e complessa, quella raccontata da Williams, i cui legami possono apparire contorti, disfunzionali e, talvolta, imbevuti di una buona dose di anaffettività. Eppure i personaggi sanno parlare anche di amore, di attrazione, di amicizia, di accudimento – seppur non in modo convenzionale –, portando nelle pagine del libro un senso del vero che permette loro di non cadere mai in alcuna forma precostituita che possa stereotiparli: l’incapacità di Edgar di entrare in connessione emotiva stabile con gli altri, la fede grossolana e risoluta di Felicia, la frettolosa bramosia di Army di “svoltare” nella vita non hanno alcunché di banale, di già sentito, di ascrivibile a qualcun altro.

Di saghe famigliari è piena la letteratura, ma quella di Ian Williams è una saga famigliare suo malgrado. Stando alle intenzioni iniziali, nessuno dei protagonisti aveva il proposito di riprodursi e ancor meno di dar vita a un proteiforme nucleo famigliare. Stando alle loro intenzioni, quindi, il libro non sarebbe mai dovuto esistere.

«Non tutti sono fatti per riprodursi». Eppure tutti, alla fine e in vario modo, si riproducono, con una puntuale passaggio di padre in figlio di tratti somatici e di abitudini comportamentali, soprattutto di queste ultime.

A ogni modo, così descritto, Riproduzione sarebbe accostabile a un numero pressoché infinito di altri romanzi, che negli anni hanno scandagliato matasse aggrovigliate di relazioni parentali, patrimoni genetici che per partenogenesi trasmettono la medesima capacità di sbagliare, fino ad arrivare alla comprensione che non è necessario avere legami di sangue per poter parlare di famiglia. Se Riproduzione fosse solo questo, sarebbe come fermarsi alla presunta, e mendace, vasectomia che Edgar racconta a Felicia di aver fatto e che dà il via a tutto il romanzo. Riproduzione potrebbe essere solo questo, se non si decide di seguire la biologia di questo libro.

A questo punto, quindi, val la pena tornare un attimo alla questione esposta all’inizio, quella riguardante i tipi di lettori, perché per godere appieno di un romanzo come quello di Ian Williams, anche il lettore poco incline a “leggere” le strutture e le sovrastrutture di un libro deve arrendersi. E Riproduzione val bene la resa.

Per leggere quest’opera è necessario sposare l’idea e l’intento del suo stesso creatore: «I wanted to write a book that would reproduce itself». E così Ian Williams ha plasmato un organismo vivente e lo ha affidato al lettore, il quale nella prima parte lo vede riprodursi sotto ai propri occhi, poi osserva le cellule di questo essere proliferare e crescere in modo esponenziale nella seconda e terza parte, e infine lo veglia quando nella quarta parte, ormai malato di tumore, il libro farnetica e la narrazione si frange, mescolando materialmente – tipograficamente – più flussi narrativi. A fare da intermezzo a una simile struttura, ci sono poi delle “confidenze”, nuclei condensati dove la narrazione procede velocissima e per lampi di notevole impatto lirico.

Definire Riproduzione un romanzo sperimentale potrebbe essere riduttivo, e bisogna ben guardarsi dal bollare l’opera di Williams come esercizio di stile. In un’intervista rilasciata dall’autore a Rivista Studio, lui stesso alza lo scudo contro osservazioni di questa risma, mettendo ben in chiaro che il suo obiettivo non è pavoneggiarsi con della «ginnastica mentale», né essere ricordato come «quello delle trovate». Il suo è il tentativo, profondamente poetico, di spingere un libro oltre i soliti confini, di farlo divenire carne. L’energia necessaria per un simile poderoso dispiegamento di forze inventive si può avere soltanto se si ha uno scopo genuino. E la bontà di tale affermazione, ovvero che questa solenne impalcatura narrativa non ha nulla a che fare con artificiosità letterarie, trova conferma nell’estrema facilità e godibilità con cui si legge questo libro. A tal proposito, un plauso va anche alla alla traduttrice, che con altrettanta maestria e naturalezza ha saputo veicolare gli infiniti guizzi dell’autore.

Con Riproduzione, Ian Williams fa un patto con il proprio lettore: se accetti di metterti in gioco, di andare oltre la superficie, di cogliere tutti i piccoli Easter egg lessicali disseminati nel libro, verrai ricompensato da una lettura capace di avvolgerti, facendoti prendere parte a tutti gli effetti al processo narrativo. E questo è forse il più grande regalo che un autore può fare.

 

(Ian Williams, Riproduzione, traduzione di Elvira Grassi, Keller, 2021, 696 pp., euro 20, articolo di Giulia Eusebi)