Il punto di non ritorno dei Coldplay

A proposito del nuovo album della band di Chris Martin

di / 20 ottobre 2021

A luglio di quest’anno esce un singolo di dieci minuti con rimandi floydiani firmato Coldplay. Forse in qualche modo abbiamo recuperato Chris Martin. Everyday life non è stato un caso. L’album viene pubblicato il 15 ottobre e si chiama Music of The Spheres.

A ridosso dell’uscita avverti qualcosa. Una sensazione poco chiara ricollegabile al prodotto Coldplay. Qualcosa non va. Inizi a pensare che “Coloratura” sia una trappola. Guardando la copertina new age oppure osservando la pubblicità per strada con quei quattro faccioni che puntano da qualche parte nello spazio, ti rendi conto che sei ancora in tempo per scappare. Non puoi cascarci sempre.

Invece no, perché dai credito a una band che nel bene o nel male ti ha segnato e ha segnato una o più generazioni. Quindi ci credi e già l’apertura stile Eno (alla lontanissima Apollo, per esempio) sembra incanalare il discorso verso una direzione compatibile con “Coloratura“.

Gli dai credito oggi soprattutto perché Everyday life è stata la cosa migliore scritta da loro dai tempi di X&Y (insieme parzialmente a Ghost Stories) e oramai è diventato davvero triste ricordare i Coldplay di Yellow e di quanto erano bravi e di quanto poi, artisticamente, siano caduti nel degrado più totale. Ancora più triste del fatto in sé.

Music of The Spheres, invece, è il peggio del peggio che i Coldplay avrebbero potuto immaginare. Che ci saremmo mai potuti aspettare. Ci sono  le stelle, l’universo. Quell’altrove patinato.  Se prima poteva funzionare, oggi, in un lavoro del genere, è solo deprimente.

Ci sono canzoni che si chiamano con emoji. Ci sono i fuochi d’artificio e i palloncini. Un’estetica tristemente convenzionale. Lo stadio e la musica intesa solo come intrattenimento. I balletti.  Collaborazioni che esistono solo come sinonimo di espansione del mercato. (“My Universe“,  nella combo canzone+video, in questo rappresenta il punto più basso della loro carriera – o più alto, certo).

Un lavoro che poi – e questo è il punto che lo rende disonesto a livelli estenuanti – non ha neanche il coraggio di prendere una direzione così netta. Facciamo una cosa davvero sporca e basta. No, perché poi ogni tanto ci sono degli sprazzi di cose che sembrano pure interessanti, ma che perdono immediatamente il loro significato prigioniere nelle architetture pensate da Chris Martin e compagnia, dalla smania della semplificazione come profitto.

Frammenti pseudo Eno (canzone emoji Saturno e quella con emoji stelline), ballate alla Bon Iver (“Let Sombody Go“, che poi si trasforma in canzone Disney, e la presenza di Selena Gomez non pare casuale),  preghiere laiche di forte impatto emotivo (sempre alla Bon Iver, e il fatto che il meglio lo dia scopiazzando l’autore di “Skinny Love” rende il tutto ancora più disarmante), e poi quel pezzo floydiano che è “Coloratura“: tutto buttato lì e lasciato marcire.

Music of the Spheres è caotico, deforme, kitsch. Inutilmente brutto: Music of the Spheres è offensivo, per noi e per loro.

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LA CRITICA

I Coldplay tornano a essere nient’altro che la versione peggiore di loro stessi.

VOTO

3/10

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effe

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