The Dream, il nuovo album degli Alt-J

Il ritorno della band di Leeds

di / 22 febbraio 2022

Rimarrà sempre un mistero l’enorme successo di An Awesome Wave, soprattutto per quanto riguarda parte di una critica alla spasmodica ricerca di un grande gruppo pop inglese che potesse spaccare la musica degli anni ’10.

Sembrava roba sofisticata, ma portava con sé intrinsecamente dei bug artistici a cui diversi gruppi si aggrappavano (già passati per un periodo alt trasformato poi banalmente in pattume) e a cui venivano aggiunte componenti finto-raffinate vagamente hip hop e una vocazione soul che nascondevano una predisposizione all’appiattimento mainstream (“Breezeblocks“, sì). Solo che loro erano all’inizio e già ci eravamo passati. Altro che Coldplay indie, insomma.

Mistero soprattutto se paragonato a un gruppo come gli Everything Everything che due anni prima faceva uscire un album, Man Alive, che suona ancora adesso come un grande capolavoro dimenticato (ma per dimenticarlo bisognerebbe almeno farlo conoscere) e che nel discorso sui gruppi indie-inglesi di quegli anni viene regolarmente bypassato. Certo, non è  colpa degli autori di “Matilda” se la band di Manchester sia rimasta impolverata in uno degli angoli remoti del mercato musicale. Però una riflessione in merito sarebbe da fare.

A parte questo: dopo un primo album del genere, ne esce un secondo, This Is All Yours, che è come il primo ma meno ispirato e poi, cinque anni fa tirano fuori Relaxer che già al primo ascolto faceva capire che le cose stavano cambiando. Maturando, quantomeno. Gli Alt-J si stavano emancipando dagli Alt-J? Non proprio. Quell’effetto Alt-J c’era sempre, ma usciva più come questione artistica e non come una cosa da corso di marketing.

Ora, nel 2022, esce il quarto album della oramai old next big thing Alt-J, The Dream, (e infatti non c’è stato quel clamore -pre che aveva caratterizzato le uscite precedenti) e la sensazione di fondo, ascolto dopo ascolto, rimane comunque sempre quella di un gruppo alla perenne ricerca di qualcosa. E suona paradossale, verissimo, perché hanno sicuramente trovato qualcosa: il suono Alt-J, il brand Alt-J, è super riconoscibile. Meno sensazionalismo degli esordi, ma anche qui un’idea più artistica su cui lavorare.

The Dream ha degli spunti interessanti. Prendo il trittico “Chicago“-“Philadelphia“-“Walk a Mile“, che sembra uscito dalla testa di Sufjan Stevens ed è roba neilyoungiana con sonorità contemporanee) o anche “Happier When You’re Gone” (un pezzo davvero Alt-J che sembra mischiarsi a “Tender” dei Blur), ma non riesco  mai a vederli ruotare attorno qualcosa di preciso perché alla fine nulla sembra mai ruotare attorno agli album e alle canzoni stesse degli Alt-J: forse è anche questa la loro peculiarità, quella di cammuffarsi, nascondersi, mimetizzarsi, non essere mai la stessa cosa pur essendo sempre la stessa cosa.

I tre di Leeds si stanno stabilizzando su un’altezza, come nel precedente sono usciti dalla confort zone che li ha protetti per anni, non hanno quella finta-freschezza degli esordi. Non c’è una direzione che un album pop necessita, ma non è neanche un lavoro di rottura, qualcosa con uno sguardo che possa andare oltre. Ma nonostante sembra un pasticcio di sensazioni e di suggestioni,  c’è un sentore  per cui valga la pena, anche solo per un po’, approfondire il discorso.

Forse gli Alt-J non capiranno mai cosa saranno. E forse non sarà necessario. Senza le pretese con cui pubblicità e parte della critica li hanno definiti e plasmati, il fenomeno Alt-J può ridursi e viaggiare su binari più gestibili. Magari il tutto sarà meno ambizioso, ma magri più credibile.

 

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LA CRITICA

Il ritorno degli Alt-J non sorprende più di tanto, ma risulta più credibile rispetto all’enorme successo che è stato An Awsome Wave.

VOTO

6/10

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effe

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