“Il fiume Sumida” di Nagai Kafu

di / 18 novembre 2010

Il fiume Sumida [titolo originale: Sumidagawa], romanzo pubblicato nel 1909, è considerato uno dei capolavori di Nagai Kafu, autore che ebbe un ruolo di primo piano nella diffusione del naturalismo francese in Giappone, dopo la sua lunga esperienza estera in Francia e Inghilterra.

La storia del romanzo si snoda attorno a due motivi: il desiderio del protagonista, l’adolescente Chokichi, di lasciare la scuola per seguire la sua vocazione artistica, e la sua prima delusione d’amore. Uno degli aspetti principali del romanzo, come della maggior parte degli scritti di Kafu, è l’interconnessione che l’autore riesce a creare tra le vicende dei personaggi e la descrizione dei luoghi e dei paesaggi che troviamo, non sullo sfondo ma in primo piano, nella narrazione; come se quest’ultima fosse un pretesto per descrivere vecchie case, palazzi, templi e tutte le immagini di una Tokyo non occidentalizzata, a oriente del fiume Sumida, in cui è ancora viva l’atmosfera dell’antica Edo. L’itinerario estetico di Kafu altro non è che il trauma culturale dato dalla modernizzazione del suo paese. Questo è il filo conduttore di tutte le sue opere. Quando scrive un romanzo, afferma Kafu, “ciò che suscita il mio più vivo interesse è la scelta e la descrizione del luogo in cui la vita dei personaggi e gli eventi si svolgono. Ricado sempre nello stesso errore di dare più importanza alla descrizione dell’ambiente che al carattere dei personaggi”. Ciò che si nota, leggendo opere come quelle di Kafu, è che i personaggi diventano un tutt’uno con i paesaggi descritti. Lo scorrere del fiume Sumida è il fluire delle loro vite, delle stagioni, un tempo che scorre e che si riflette sulle acque del fiume.

“Il Sumida era al tempo stesso uno spettacolo di devastazione che i miei occhi contemplavano ovunque, era quanto riemergeva dalle brume dei paesaggi che avevo visto da bambino ed era la bellezza delle storie di una volta che avevo sentito da piccolo. […] Nulla avrebbe potuto accordarsi così bene con la mia malinconia come i resti degli antichi luoghi celebri sulla via di un prossimo, totale, annientamento”. (Kafu zenshu, vol. V, p 61)

Kafu, accanto alle immagini dell’antica Edo e del “mondo dei fiori e dei salici”, ovvero dei quartieri di piacere, fa risuonare come un’eco citazioni di altri testi letterari che completano le vedute dei suoi paesaggi, con continui riferimenti all’antica letteratura Tokugawa, come per difendere le rive del fiume Sumida, ora minacciate dalle ciminiere delle fabbriche moderne. Sono presenti, inoltre, nella sua scrittura, tematiche care alla letteratura dell’epoca, con dilemmi della modernità:  il protagonista Chokichi si sente pressato dall’ambiente familiare, visto come un ostacolo alla realizzazione della sua indipendenza, intesa come realizzazione delle proprie autentiche aspirazioni, sentendosi incompreso e solo.

L’ambizione di Chokichi di dedicarsi alla musica e al teatro sono osteggiate dalla madre che riversa sul figlio tutti i suoi desideri di affermazione sociale “per lei, la cui vita era stata un fallimento, la sola gioia era la speranza del successo che avrebbe avuto il suo unico figlio Chokichi”. Ella, così, desidera solo che il figlio possa entrare all’università per assicurarsi una solida carriera da burocrate. Invece Chokichi, oltre a collezionare insuccessi nello studio, si sente attratto dall’arte. La stessa figura dello zio Ragetsu, artista e uomo di mondo, che avrebbe dovuto condividere le sue aspirazioni, lo delude. Chokichi realizza allora che gli esseri umani “hanno una comoda inclinazione a dimenticare, quando diventano vecchi, le ansie e le incertezze della giovinezza”.

Queste ansie e incertezze rendono il protagonista un individuo fortemente nostalgico verso il passato, visto come un periodo semplice e felice, tanto da chiedersi:”Chissà quali nuovi dolori mi porteranno gli anni a venire”.

La volontà di un tempo immobile, in cui lo scorrere degli istanti insieme allo scorrere del Sumida possano essere bloccati, è la conseguenza delle sue incertezze, a cui si va ad aggiungere anche il dolore provocato dall’inevitabile separazione da Oito. Ella, da compagna fedele e ragazza semplice, diviene una geisha raffinata con un cambiamento radicale della propria figura, quasi a voler simboleggiare il mutamento della capitale del Sol Levante da Edo a Tokyo, città occidentalizzata. “La Oito compagna d’infanzia non esisteva più”, come se venisse annullata dal divenire, così Chokichi,  completamente impotente, “inseguiva l’immagine di Oito che poteva vedere nitida solo nei propri occhi”. 

Alla fine del testo è soffocante il senso di incertezza e precarietà: un’inondazione minaccia i quartieri, veri “protagonisti” della vicenda (quelli “sulla via di un prossimo, totale, annientamento” come scrisse Kafu) e la salute stessa di Chokichi. Non conosciamo l’esito della crisi adolescenziale del protagonista, che d’altronde“sperava solo di ammalarsi e morire”: come se la morte fosse l’unica soluzione alla delusione e alla solitudine per un ragazzo come lui “che non aveva neanche il coraggio di suicidarsi”.

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