“L’attesa è magnifica” di Gregor von Rezzori

di / 8 febbraio 2011

Talvolta scrivere su sé stessi vuol dire scrivere su tutto ciò che non riguarda se stessi. Le autobiografie non sempre esauriscono la personalità dell’autore, ma lasciano in ombra il nocciolo reale della sua esistenza. Si direbbe anzi che si crei uno scollamento tra l’uomo che ha vissuto dei fatti e l’uomo che li racconta, sebbene i due uomini si saldino nella stessa persona. Questo accade anche nella lettura delle opere di Gregor von Rezzori, uno scrittore che certo ama parlar di sé, pur lasciando un impenetrabile velo di mistero sulla sua figura. Mi spiego. Quando si legge un suo romanzo, come L’attesa è magnifica, ci si trova subito in un rapporto di confidenza con l’autore che ama intrattenerci con i fatti della sua vita, ma si rimane stupiti nel vedere come la facondia autobiografica non dissolva l’aura di mistero che circonda la persona, accuratamente celata sotto le spoglie del viveur dal sorriso un po’ beffardo, come si vede nella foto riprodotta in copertina. Rezzori, nato nella città di Czernowitz , sotto l’impero austro-ungarico,nel fatale 1914, in una regione passata poi alla Romania e oggi all’Ucraina, è un tipico prodotto di quella mitteleuropa in bilico fra oriente e occidente,la parte forse più interessante del continente prima che la globalizzazione ne minasse le singole identità.

Il romanzo si presenta come un lungo ragionamento sulla propria esistenza intimamente legata a quella dell’Europa, o almeno a quelle due parti che si contendono il cuore di Rezzori, la Germania e la Romania. La narrazione prende direzioni cui talvolta si fatica a star dietro (il titolo originale non per nulla è Greisengemurmel, “brontolio di un vecchio”) con grossi salti temporali e spaziali che vanno dalla Germania di Hitler alla Romania del Conducător Ceauşescu fino all’India dei massivi culti idolatrici di santoni tanto amati da milioni di persone quanto rigurgitanti denaro e fanatismo. Forse l’India delle superstizioni è proprio la chiave per leggere un’Europa che ha sguazzato per decenni nei totalitarismi, un’Europa che Rezzori analizza con un aristocratico e malinconico distacco di pretta marca mitteleuropea durante la sua convalescenza nella quiete della campagna toscana dopo un’ennesima, complicata operazione.

Non è un bel ritrattoquello che Rezzori traccia nel suo romanzo. Le ferite del vecchio continente sono ancora aperte (il libro è stato scritto nel 1994, Rezzori è morto nel 1998, ma i fantasmi della distruzione ancora perseguitano gli europei) e talvolta sono ben visibili in quei mostri architettonici costruiti dai dittatori, come l’edificio-mammut “Casa Poporului” voluta da Ceauşescu a scapito dei deliziosi quartieri di Bucarest (molto simile in questo agli scellerati “diradamenti” urbani compiuti a Roma durante il fascismo). La domanda che si pone simbolicamente Rezzori è : “Per quanto tempo la polvere del potere trascorso indugia nell’atmosfera?”. E’ una domanda che forse si porrebbe oggi il principe Salina de Il Gattopardo se potesse vedere la devastazione apportata dal “secolo breve” sul continente europeo. Entrambi aristocratici, entrambi appartenenti a un mondo che non esiste più, Salina e Rezzori sembrano condividere l’idea pessimista che in realtà mai nulla cambia veramente, e che la storia in realtà non esiste, perché non fa che ripetere se stessa.

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