“La moneta di Akragas” di Andrea Camilleri

di / 14 febbraio 2011

Leggere Camilleri è sempre un piacere, leggere Camilleri in una edizione così curata come quella presentata da Skira (casa editrice solitamente specializzata in libri d’arte) è un’esperienza che riconcilia con i nostri sensi.

Soprattutto poi se ci ritroviamo catapultati in una Sicilia di primo novecento che odora di zagare e polvere, di sudore umano e frutta, di un tempo che sembra riabbracciare quello scandito dagli dei.

La Sicilia raccontata da Camilleri è la Sicilia di Camilleri, quella Sicilia colta ma popolare, genuina ma impostata come solo può essere il sud del nostro paese, una Sicilia che aspetta sempre qualcosa – che sia un lieto evento o un omicidio poco importa –, una Sicilia che ascolta in silenzio e capisce perché conosce la terra e con essa ha un legame tutto suo, profondissimo.

La Sicilia è infine il prolungamento italiano della Grecia. Testimonianza ne sono i luoghi, i templi, le persone. Persino il mare lì sembra ellenico.

Il punto di partenza del romanzo è proprio un oggetto che rimanda a quel mondo, un oggetto d’uso quotidiano, un oggetto che ha in sé sempre, o quasi sempre, un valore simbolico.

Si tratta infatti di una moneta. Del ritrovamento di una moneta coniata in pochissimi esemplari ad Akragas, intorno al 400 a.C.. Gli anni dell’assedio cartaginese, per intenderci.

Il metallo come sappiamo quando tocca una superfice, emana le sue onde, il suo suono: scintillante o sordo poco importa. Stavolta l’onda è inarrestabile: il furto della moneta, misteri e un omicidio connesso a questa sparizione.

Conosciamo la perfezione delle storie raccontate da Camilleri: tutto procede allargandosi e restringendosi, alternando tragedia e ironia, spalancando agli occhi del lettore la splendida campagna siciliana e disfatta Messina, distrutta dal terremoto.

Ci rimane una sensazione di qualche cosa di prezioso, un richiamo ad un tempo senza tempo, un inno ad una terra che, anche grazie a Camilleri, si presenta ai nostri occhi come l’ultimo baluardo di un mondo che non c’è più.

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