Fantasmi

di / 4 maggio 2011

 

Libri e delitti. Delitti per amore dei libri. Bibliofili, bibliomani, topi di biblioteca consunti fino a divenire ectoplasmi che rigano dritto nella loro dedizione esclusiva e monomaniacale. Eccetto deviare all’improvviso per un banale attrito che la vita gli procura e spingersi fino al limite estremo, al punto di non ritorno: la “biblio-patologia”. Potrebbe essere una psicosi a sé. A quel punto esplode l’insania, nata, cresciuta e uscita allo scoperto in nome dei libri; dilaga e porta a imprevedibili svolte di sangue. Se il noir approda in biblioteca, nella Biblioteca nazionale di Francia (“Vista dalla Senna sembra un tempio azteco per via delle scalinate di legno. Manca solo l’imperatore. dentro ci sono ben undici milioni di libri che vi guardano dall’alto e dal basso!”) allora sì che deflagra: nessuno potrà appellarsi al Simenon di “Maigret e il fantasma”, o de “I fantasmi del cappellaio”; neanche il lettore più esperto, potrà dirsi al sicuro da sorprese e scarti dalla norma, né fare leva sulla sua pretesa competitiva di sapere tutto del genere. “Fantasmi” (casa editrice Portaparole, edizione 2009) funziona così: è un pastiche dalla costruzione perfetta, intriso di amour fou per i libri; in finale è tutto un tributo alla lettura a costo di qualche inconveniente: sangue in biblioteca, indagini, un commissario in sala lettura che mal sopporta i libri ma è melomane, e altre stranezze del caso. Si nutre di precise ascendenze letterarie “Fantasmi”, è un gioco elegante, dà scacco matto a chi sottovaluti la forza d’urto dei libri; è un gustosissimo e vorticoso godimento intellettuale ed estetico. L’unico difetto rintracciabile è d’altro canto il suo stesso pregio e punto di forza: la brevità. L’autore, Pierre Assouline, giornalista e brillante scrittore francese, evidentemente non ha voluto forzare la mano all’invenzione diluendola nei modi e nei tempi del romanzo. E ha lasciato che la macchina narrativa si dispiegasse nei tempi brevi e secchi di un racconto dal ritmo serrato nella efficace traduzione di Giuseppe Girimonti Greco. Come dire: è cosa buona e giusta calare il lettore in una stramberia, strapazzarlo e costringerlo alla vertigine, ma senza eccedere la misura né abusare del potere che solo spetta al supremo artefice, lo scrittore. “Non si riflette mai abbastanza sulle parole di Borges, il cieco bibliotecario di Babele: ‘la certezza che tutto è scritto ci annulla o ci trasforma in fantasmi’. Fantasmi, è così che tutti ci chiamano, a noi della vecchia guardia, gli intrattabili pensionati del personale bibliotecario. Non riusciamo a smettere. E lavoriamo tutti a titolo gratuito, ovviamente. Solo che alcuni… alcuni sono talmente ingombranti che la direzione sarebbe pronta a rimetterci pur di mandarli via, inutile negarlo. Niente da fare.  Chi riuscirà a farli sloggiare li ucciderà. La Biblioteca è tutta la loro vita”. Questo dice il fantasma cruciale della storia.  Pur nella brevità dello spazio del racconto, Assouline rende magnificamente l’atmosfera della Biblioteca nazionale di Francia: l’imponenza della struttura dotata di quattro torri a mo’ di fortezza moderna, l’estensione dei corridoi e delle sale, i recessi e meandri misteriosi, il rumore dei passi, attutiti solo da una moquette rosso scoiattolo, ma soprattutto il silenzio come rumore di fondo onnipresente, solo qualche volta stravolto da ignobili suonerie. E poi, le “trecentocinquanta gondole elettriche appese ai binari che assicurano la trasmissione dei documenti dai magazzini alle sale di lettura”. Ultime, non certo per importanza, le scaffalature elettriche che, se ricongiunte all’improvviso, potrebbero diventare strumenti di morte. Lo stesso mistero del luogo è restituito nei diciotto scatti del fotografo Jean Pierre Bertin-Maghit  che sono il contro altare della pagina scritta, a conferma che davvero “la biblioteca nazionale di Francia è un luogo infestato dai fantasmi”. Un siffatto contesto in apparenza al “riparo dalla cattiveria del mondo esterno”, è sconvolto da un brutale assassinio. Il commissario perlustra la biblioteca accompagnato da questo strano fantasma narratore. Sembra che conduca un indagine a vuoto. E invece fa centro. Non è il caso di sciupare l’invenzione con un banale riassunto della trama. Unica soluzione: procurarsi il libro da leggere quasi in apnea. Da segnalare, invece, la postfazione di Oliviero Diliberto in veste di incallito bibliofilo quale è, che traccia una interessante storia della letteratura poliziesca in biblioteca.  

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