Il Boccaccio riveduto e scorretto

di / 26 maggio 2011

Cosa lega i Fo a Boccaccio? A ben leggere e vedere lo stile di pochi altri autori performer e premi Nobel può dirsi boccaccesco come quello dell’insigne Dario. Meno boccaccesco, è vero, di quello della più compassata e canonica (già Senatrice) Franca. Ma sono pur sempre coppia, i Fo, quasi un sintagma (dàriofo&francaràme: suonano così da decenni). Ed è la loro vita “sistema di novelle”, Decameron esistenziale in cui s’intrecciano biografia e arte, vita e ispirazione, ego et nos.  
Dario e Franca sono, classici; Dario già s’è cimentato col classico dei classici della religiosità, il pilastro della saggezza e della sapienza occidentale, il Vangelo. A suo modo lo ha rivisitato e portato sul palcoscenico della consapevolezza restituendo, quando i tempi erano pronti e il Concilio quasi invitava, al Cristo ieratico quei tratti umani, troppo umani, che da tempo mancavano alla sua platea e ai sui sacerdoti.
Poteva mancare il confronto col pilastro laico? Certo che no. Ed ecco lo scontro tra titani; il tributo, quasi, dell’allievo non laureato poeta ma coronato di nitroglicerina (quanti lo sanno?!) all’inventore della narrativa, al Maestro non rabbi ma di penna. Allo scandagliatore modernissimo dei motivi dell’agire umano sagace e salace ai confini del lecito, forse, ma mai, mai irrispettoso della vis più potente e nostra. Al cantore di quella humanitas attorno cui s’addenseranno generazioni di prosatori emuli o rinnegatori (che poi è lo stesso) di contenuti e stile. La fonte (certo non il fonte…) cui s’accosteranno (in felice connubio) proto-psicologi e grammatici per secoli. E narratori, Chaucher in testa, e via di Canterbury Tales e tradizioni inventate autoctone (e invece no!).
Cos’è l’opera di Dario, se non una sequela ininterrotta di novelle? Ed è poi in fondo tanto dissimile, lo sperimentalismo linguistico suo da quello di Giovanni? Per noi, ora, quel dialetto volgare è l’italiano; per noi, ora, è canone. Chissà se e quanto per i coevi non fosse anche quel modo di scrivere e coniare frasi un Mistero Buffo alla Boccaccio.
445 pagine di contenuti. 12 (casuale?!) novelle rivisitate, in questo bel centone pure arricchito dei tanti tanti tanti schizzi e quadri (belli, vividi di colore; e c’è un tratto anche tra loro, un trait d’union evidente e palese, come nel suo teatro, nella sua… maniera) del Maestro (il nostro, non il toscano); 12 più una spuria (Il lamento della sposa padovana), extra-raccolta, acutamente ricondotta al bagaglio della sapienza imprescindibile, al Boccaccio (alla sua enciclopedia…).
Che ne fanno, di queste storie, Dario e Franca?
Filologia, si licet. In sintesi, perché tanto i libri vanno letti, e se non t’ho convinto così non lo farò certo per excerpts (noia mortale…): presentano, contestualizzano, spiegano, svolgono, affabulano; creano (talento assoluto!) il mirabile intreccio tra contenuto e forma eletta a presentarlo storia vita società cultura che è compito (sconosciuto al critico moderno, rintronato di “scienza” e false categorie dell’inutile, tutto seghe e dottorati), dell’Esegeta più illuminato / Il solo comandato: l’artista.
Lo leggi, il Boccaccio secondo dàriofo&francaràme, e ti rammarichi che, diversamente dagli arredi del talamo, non esista il Nobel a due piazze.        

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