Nel mare ci sono i coccodrilli

di / 13 luglio 2011

Afganistan, Pakistan, Iran, Turchia, Grecia e Italia. Queste sono le tappe dell’odissea  vissuta da Enaiatollah Akbari e raccontata da Fabio Geda in  Nel mare ci sono i coccodrilli, libro candidato tra i 12 finalisti del Premio Strega 2011.

Tutto iniziò quando la madre di Enaiatollah, dopo aver oltrepassato il confine che separa Afganistan e Pakistan gli disse:khoda negahadar, addio.Nonostante Enaiatollah avesse solo  dieci anni, la madre decise che «saperlo in pericolo lontano da lei,  ma in viaggio verso un futuro differente, era meglio che saperlo in pericolo vicino a lei, ma nel fango della paura di sempre». 

Enai racconta dei buchi in cui si è nascosto, di come si è affidato ai trafficanti, dei lavori che ha fatto, dei parchi in cui ha dormito e della gente che lo ha aiutato. «Ha conosciuto la nobiltà e la miseria degli uomini»finché non ha trovato un posto in cui crescere: l'Italia. Lo ha riconosciuto perché questo, per lui, è quel luogo dal quale «non ti viene voglia di andare via. Certo non perché sia perfetto. Non esistono posti perfetti. Ma esistono posti dove, per lo meno, nessuno cerca di farti male».

Questo libro dipinge l'infanzia di un giovane afgano sfuggito ad un drammatico futuro grazie all'abbandono di sua madre.

Enaiatollah è consapevole dell'asprezza del suo Paese. Sa che in Afganistan la vita per la sua etnia “hazara” è estremamente pericolosa a causa dei talebani. Sa, una volta conosciuta l'Italia e le sue possibilità, che se fosse rimasto oggi sarebbe un giovane terrorista.

Enaiatollah si mostra sempre saggio, un uomo nel corpo di un bambino. È tanto legato al suo Paese da non perdere occasione per sottolineare la differenza tra talebani ed afgani, ma nonostante ciò non tenta mai di tornare a casa, né rimpiange di essersene allontanato. Allo stesso tempo non si dimentica  dei fratelli né della madre, nonostante non specifichi nulla dei loro veri nomi, del loro carattere o della loro amorevolezza. È proprio con la madre che si conclude il racconto, con una telefonata tra i due in cui nessuno riesce a parlare, ed è durante quel silenzio che Enaiatollah sente di essere veramente vivo e fiducioso nel proprio futuro.

A raccontare i fatti è lo stesso protagonista, con quelle parole e frasi semplici, che ha avidamente imparato non appena stabilitosi in Italia. Snocciola anno dopo anno, incontro dopo incontro come se fosse davanti al lettore, come su fossimo in metropolitana per esempio, e invece di ignorare “l'immigrato” seduto accanto a noi gli chiedessimo di raccontarci il suo passato.

È un libro illuminante, che colpisce per l'asprezza della situazione che il protagonista è costretto a fronteggiare, ma scalda il cuore per la sua tenerezza, perché anche se tendiamo a dimenticarcelo è pur sempre un bambino. E in questo Enaiatollah è molto simile all'Afganistan, dove l'asprezza del vento può graffiare mentre il sole caldo brucia la pelle.

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