“Come non detto”: a tu per tu con Ivan Silvestrini

di / 24 settembre 2012

Personaggi in cerca di autore. Si muovono nel grande schermo in attesa di un outing che sarebbe una vera liberazione. Mattia, però, nonostante la presenza e l’affetto dei suoi amici, non riesce a dire di essere gay alla sua famiglia e sta per trasferirsi a Madrid dal suo compagno Eduard. Inizia così il film Come non detto, da poco uscito nelle sale. Presto la situazione si complica e, in una vera commedia degli equivoci, sembra che tutto vada per traverso. Eduard arriva a sorpresa e crede che la famiglia di Mattia sappia tutto. Da qui un intreccio esilarante, con colpi di scena e nessuna caduta di stile. Si ride, si riflette, ci si sorprende. E si fa il tifo per questo ragazzo un po’ timido ma molto innamorato, che fa di tutto per complicarsi la vita. Parliamo del film con il giovane regista, Ivan Silvestrini.


Come non detto colpisce davvero per la franchezza, la fantasia, l’ironia con cui racconta la vita di un omosessuale alle prese con un “coming out”. Chi l’avrebbe detto che si può sorridere in momenti così complicati?

Ogni momento difficile, col senno di poi, può assumere connotazioni tragicomiche, e il senno di poi degli altri è spesso tutto ciò che abbiamo quando dobbiamo affrontare un passo del genere. Come non detto nasce per questo, per stare vicino a chi deve fare questo passo e a coloro che dovranno confrontarcisi. Io voglio pensare che sempre di più il “coming out” diventerà accettabile anche per le famiglie italiche, e in ogni caso, per citare una frase di Josafat (il protagonista): «Tu non hai niente da perdere da una famiglia che non ti accetta per quello che sei». Se si riesce a sorridere di questo film, si è a metà dell’opera.


Il film è una commedia brillante, sopra le righe. Come è riuscito a raccontare un amore tra due uomini evitando caricature e luoghi comuni? I suoi personaggi sembrano davvero reali e pronti a raccontare una storia senza la pretesa di raccontarle tutte.

La mia sfida con questo film era restituire allo spettatore, anche al più omofobo degli spettatori, una sensazione palpabile di assoluta normalità e inevitabilità dell’innamoramento di Mattia e Eduard. Era fondamentale la scelta della coppia perfetta a livello di cast, e poi si trattava di mettere in scena un trasporto puro, pulito, come quello dell’innamoramento appunto. Quando i due ragazzi si fissano nel silenzio dopo aver fatto l’amore io ho chiesto agli attori di dirmi con lo sguardo: è lui, è l’amore, l’ho trovato.


L’essere gay viene mostrato nel film con molti aspetti: quello problematico di Mattia, quello più gioioso e spensierato di Eduard, senza tralasciare personaggi en travesti come Giacomo, che lavora in una tintoria e fa la drag queen di notte, “in diretta” dal Mucca Assassina… tutte le sfumature di un mondo spesso descritto con molti pregiudizi. Lei però racconta la difficoltà di accettarsi come gay come se non ci fossero ostacoli e pregiudizi culturali e il vero problema sia accettarsi e farlo accettare da una famiglia borghese. Non sente di aver ceduto a una elaborazione un po’intimista, che risolve tutto in un conflitto interiore?

Il conflitto interiore, l’omofobia interiore è uno dei temi principali del film. Se non siamo noi i primi ad accettarci per come siamo come possiamo pretendere che gli altri lo facciano? Forse questo film ad alcuni potrebbe sembrare una favola sul “coming out”, e per certi versi lo è, anche se lo spettro delle possibilità disastrose è comunque evocato attraverso l’esperienza di Giacomo, l’amico del protagonista. Chi ha visto il film, sa che se un “coming out” può andar bene è anche perché i familiari di Mattia hanno avuto tempo di elaborare la cosa, nell’arco filmico abbiamo compresso questa fase, probabilmente per molte famiglie è necessario un tempo di accettazione maggiore, ma è assolutamente possibile riuscirci. E questo film può aiutare quelle famiglie a capire come vive un ragazzo gay che deve nascondere la propria omosessualità al mondo, capire che è assurdo farlo vivere così.


L’amicizia sembra il filo conduttore del film. Mattia può contare su amici veri, pronti a rispondere alle sue richieste piene di ansia. Si parla anche dell’amicizia “amorosa” con Stefania. C’è molta complicità e il piacere di ritrovarsi insieme. Tutti giocati sull’ironia i personaggi che circondano Mattia, tutti in cerca di autore, con un nodo da risolvere. Straordinaria la nonna che cerca e trova lavoro. Intensa Monica Guerritore nei panni di una mamma in crisi coniugale, incerta e ansiosa come tutte le mamme del mondo e si direbbe sull’orlo di una crisi di nervi.

Ognuno in questo film ha il suo personale “coming out” da fare, sì. Per questo è un film universale e ognuno ci si può rivedere per più motivi.


Come commenta il finale a sorpresa del film?

Ripeto, avendo avuto modo di elaborare la cosa, la famiglia di Mattia si mostra per quella che mi auguro un giorno diventerà la norma. Mi auguro che Come non detto possa essere una sorta di manuale non solo per il “coming out”, ma anche una guida alla comprensione di un figlio/a, fratello/sorella, amico/a omosessuale. Vivere con Mattia questa sua giornata molto speciale può avvicinare le persone, essere omosessuale non fa di te un diverso, è solo un aspetto della nostra vita, tutti siamo diversi su tantissimi fronti ma non per questo dobbiamo isolare/isolarci. Gli italiani a mio parere sarebbero molto più sereni sul tema se non subissero una costante demonizzazione mediatica degli omosessuali. I gay sono vittime di una strumentalizzazione populista della presunta loro “diversità”, al fine di dividere et imperare, sfruttando il facile pregiudizio dell’ignoranza. Beh, questo mi auguro cessi, spero che il nostro film faccia la sua parte in questa battaglia per la civiltà.

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