“On the Road” di Walter Salles

di / 13 ottobre 2012

Più che un capolavoro della letteratura mondiale, On the road di Jack Kerouac è un libro cult. Se è difficile confrontarsi con i capolavori, lo è ancora di più con i cult, che sono espressione, oltre che di un gusto letterario, delle idee e dei costumi di tutta una generazione. «Il libro della generazione», lo definiva Fernanda Pivano. On the road fu proprio questo: l’inizio di una rivoluzione: «Tutte le volte che fai l’amore con un ragazzo che non è tuo marito, devi ringraziare Kerouac», ammoniva ancora la Pivano, nume tutelare dei poeti beat, madrina faconda, grazie alla quale essi furono pubblicati e conosciuti in Italia, una delle poche, vere intellettuali che non temeva di usare il registro della passione e quello del sogno: «I poeti parlano di passione, non di ragionamento: sennò non sarebbero poeti; sarebbero solo degli stronzi».
Con un libro che ha alle spalle un patrimonio tale è difficile confrontarsi, soprattutto se si intende non già creare una nuova opera, ma farne una trasposizione in un linguaggio diverso. È questa l’operazione compiuta da Walter Salles nel film On the road, uscito nelle sale italiane l’11 ottobre. Già nel titolo, precisamente aderente a quello del libro, si trova, infatti, una precisa dichiarazione di poetica.

Tuttavia questa brillante traduzione cinematografica non potrebbe mai competere con il libro di Kerouac, soprattutto per ciò che quel libro ha rappresentato per milioni e milioni di persone, per tutte quelle immagini create da ciascuno di noi lettori, stagnanti nella nostra testa, per quella libertà di immaginare che il libro garantisce, che un buon film nutre, ma che il “film-tratto-da” nega e tragicamente sopprime.
Non solo la grandezza di On the road è d’intralcio a questa traduzione, ma lo è anche il fatto che il caro, buon Kerouac è stato tanto imitato che leggere il suo libro oggi, dopo i vari manierismi e i birignao, non renderebbe giustizia al suo genio. Certamente con l’eliminazione dei tabù farebbe molto meno scalpore, ma le opere letterarie non hanno la data di scadenza. I temi trattati sono fortunatamente o sfortunatamente attualissimi. Sentire la voce originale di Kerouac fa ancora effetto e riempie le orecchie di bei suoni. E il cuore di bebop.

Qual è la cifra di questo film, che lo differenzi da altri racconti ispirati a Kerouac e dal libro stesso? Il problema non si era posto a Salles con I diari della motocicletta (2004), perché era un film suo, nato rimasticando uno scritto non molto famoso, i diari di viaggio di Che Guevara. Lì c’era dentro anche Salles. Nonostante gli ostacoli posti da un’opera del genere, On the road risulta un prodotto molto buono. Salles è molto bravo a ricostruire le ambientazioni e i personaggi presenti nel libro; li ha resi compiutamente nel linguaggio del cinema, impastando un film che, nonostante la sua lunghezza, non annoia, perché dinamico.

Salles, prima di lavorare sul film si è messo sulle tracce di Kerouac e dei personaggi del suo romanzo, intervistando i loro figli, gli artisti beat, percorrendo con i suoi occhi i luoghi descritti. Questo studio, tra parole e realtà, è durato ben sei anni. Egli disegna sulla pellicola un gruppo di intellettuali randagi, quelli autentici, cresciuti tra la strada e le biblioteche pubbliche, lontani dalle accademie. Sono pensatori che non hanno altre urgenze se non quelle legate alle aritmie del loro cuore. Non vogliono filosofeggiare, né scrivere di problemi che non li riguardino in prima persona, né conoscere per il gusto dell’erudizione antiquaria. «Non c’è oro alla fine dell’arcobaleno, ma solo merda e piscio. Sapere questo mi rende libero», dice Carlo Marx, personaggio corrispondente, nella realtà, ad Allen Ginsberg, interpretato dal bravo Tom Sturridge. Questi giovani sono tremendamente ribelli, non hanno paura di non fermarsi un attimo prima di sé. Salles racconta a parole sue il contrasto profondo tra i valori borghesi e le idee di una nuova generazione. È un conflitto che, a ben guardare, resta aperto ancora oggi, drammaticamente, dentro ciascun ragazzo che si appresta a crescere. La nuova generazione è stanca dei compromessi con la società e ha il petto animato da un ansito d’utopia. Tra l’utopia e la noia. Non noia, «“mestizia” è la parola giusta», come asserisce Carlo, ragazzo tanto gracile quanto intenso nell’adorazione della bellezza dei corpi maschili e delle parole. Ma ovunque c’è leggerezza, che porta i corpi a levitare e a camminare per ore e ore on the road. Anche quando la strada conduce alla sofferenza. Droga, alcol, sesso: in fondo, niente di strano; ciò che sconvolge è la sigaretta. La sigaretta che si accende e si spegne, dalla labbra alle dita, dall’interno all’esterno, in un movimento rituale, avanti e indietro, avanti e indietro. La sigaretta che si consuma. E intanto i personaggi parlano, litigano, creano, si ubriacano, fanno l’amore. E la sigaretta si consuma. Ed è un po’ come la vita che vuole essere goduta fino in fondo, giorno per giorno, fino in fondo. «A cosa bisogna tenere se non alla vita, unico dono che il Signore offre una sola volta?» (ancora Carlo). Solo così, forse, la vita può non essere sprecata.

(On the road, regia di Walter Salles, 2012, avventura-drammatico, 137’)

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