“La madre” di Bertold Brecht

di / 26 ottobre 2012

Dov’è il padre? Dov’è il mio nome se non in quello di mio padre? Se il mio nome non è mio padre forse una rivoluzione materna potrà darmi un nome. C’è una madre denominata Vlassova che ha un nome che rimanda a un padre, Vlassov. Ma non c’è un padre. Mi arrangerò con una rivoluzione. La mia rivoluzione avrà il volto di mia madre e la speranza di un padre. E una volta che avrò un nome renderò il mio nome alla rivoluzione di mia madre. Renderò il nome e la vita. Mia madre ha il cognome di mio padre con l’aggiunta di una a e di una femminile tendenza a proteggere un figlio troppo giovane per rivoluzionarsi alle porte di una rivoluzione. Cercherò quindi il mio nome tra i compagni di lavoro. Il mio nome forse potrò trovarlo nell’operaio che proprio di fronte a me batte un martello schiumando di fatica. Se il mio nome saranno gli altri allora io sarò la loro rivoluzione. Eppure una madre non può permettere che il peso di un nome schiacci impunemente suo figlio. Che il nome di questa rivoluzione sia dunque il mio: Vlassova. Che la rivoluzione prenda il mio nome e che il suo nome marci con le sue insegne sul mio corpo. Ma se il nome che marcia è quello degli esclusi, non c’è altro che caduta per le insegne che tentano di scagliarsi contro l’omogeneità del potere. Il potere ha nomi che solo apparentemente possono essere pronunciati. Il potere è niente e di niente può nominarsi. La famiglia russa di ricchi proprietari terrieri di turno non è altro che un velo del potere. Come un velo è la vita del giovane figlio Vlassov, un velo presto squarciato dalla violenza del nome che porta. Anche la madre si accascerà presto sotto il peso di questo nome. Il nome della storia che passa per la rivoluzione russa. Imma Villa è l’interprete di questo corpo senza nome. Perché il nome della donna che ha portato il nome della rivoluzione è solo la a aggiunta al nome di un uomo assente dalla scena. Una società che ha perso i suoi padri, trucida i suoi figli e schiaccia le sue madri, vittime dell’unica lettera che le definisce. Tuttavia, madre Vlassova va oltre la donna e oltre l’uomo, per aderire all’ideale del nome della rivoluzione. Piange per le sue sofferenze, ma retta è la barra del timore delle idee. E Imma Villa muta con lei sulla scena. Il trucco sbiadisce tra le lacrime miste al sudore, ma allo stesso tempo il suo volto segue alla perfezione i rintocchi della sorte. Vlassova si stringe alla bandiera, il suo corpo macilento è ormai una sola cosa con la stoffa rossa. Il suo nome perde di importanza, la lettera che rende giustizia alla sua femminilità si perde nella tenace forza che la contraddistingue. Vlassova è una donna senza nome che è riuscita a dar nome alla rivoluzione operaia. Vlassova ha la forza del padre che il figlio Pavel non ha avuto. Dov’è il padre? Il padre è in scena. Era il nome di una società che tracannava i corpi martoriati dalle fabbriche. Era il nome della Russia. Il nome che è ora stato cancellato dal coraggio di Pelagia Vlassova.

 

 

La madre

di Bertold Brecht

regia di Carlo Cerciello

con Imma Villa, Antonio Agerola

 

In scena al Teatro Elicantropo di Napoli, dall’11 ottobre al 2 dicembre 2012.

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