“Assassini” di Philippe Djian

di / 29 ottobre 2012

Il fiume di Sainte-Bob fluisce, corposo, attraverso la cittadina francese di Héno­ch­ville; sembra di vederlo: si ingrossa poi si assottiglia, sempre un po’ irregolare e border line. Fluisce come il senso di colpa che rende inquiete le dita, mentre sfogliano le pagine riempite da Philippe Djian. Quel rumore materico, che si dice vezzeggiare gli orecchi del lettore, in questo caso raggiunge prima dell’udito, quella zona d’ombra, che sta in una qualche plaga del dentro, quel lago – lago d’ombra – sorpreso da un alito, tremulo. Assassini, suona il titolo e suona l’accusa. Assassini. E il senso di colpa striscia nello stomaco. Chi sono gli assassini?

Quello che la casa editrice romana Voland consegna nelle mani del lettore è un noir dissimulato, che non allestisce una vetrina di bocche sanguinolente, occhi pendenti, youknowI’mnogood e coltelli, contravvenendo ad alcuni cliché del genere. In effetti non facilmente si collocherebbe Assassini in un genere preconfezionato: sfugge alle classificazioni tanto comode per chi vuole succhiare dal libro una storia emozionante, ore snocciolate con piacimento e possibilmente un lieto fine in questa valle di lacrime. Assassini è un noir rovesciato, convesso, che sfonda la parete della fiction ed entra a gamba tesa nella dimensione del lettore. Una metà d’uovo sulla copertina. Assassini: chi sono gli assassini?

Il libro, tradotto da Daniele Petruccioli, è il primo di una trilogia inedita in Italia, composta da Criminels e Sainte-Bob: Assassini ha come protagonisti gli abitanti che sono sulla riva sinistra del fiume; Criminels quelli della riva destra; ma solo in Sainte-Bob si scopre che il narratore è uno scrittore e si sciolgono molti quesiti sospesi. A proposito di questa trilogia, Djian ha dichiarato su la Repubblica: «Dopo così tanti anni posso dirlo, forse c’è la pre­scri­zione. Con­fesso: all’ini­zio non avevo in mente nes­suna serie. Antoine Gal­li­mard, dopo aver letto Assas­sini, aveva com­men­tato che era un romanzo troppo breve, quasi incom­piuto. Rimasi sor­preso e, improv­vi­sando, risposi che in realtà si trat­tava di una tri­lo­gia. Ma fino a quel momento non ci avevo asso­lu­ta­mente pensato».

Al di là del plot, che racconta una vicenda che potrebbe accadere ovunque, il lavoro sullo stile assume una grande rilevanza. Certamente nella lingua originale questo studio si coglie e assapora meglio, ma anche nella traduzione di Petruccioli l’opera conserva la sua tridimensionalità e non si appiattisce sulla storia. Nei molti dialoghi Djian riesce a dare il meglio di sé, rendendo riconoscibile la voce di ciascun personaggio, come fosse reale. Allora li senti Patrick, narratore in prima persona, il suo migliore amico Marc, Thomas e Jackie, l’ispettore Victor Brasset, li vedi. Vedi la Camex-Largaud, la fabbrica mostruosa in mezzo al verde montano di Héno­ch­ville, con i suoi fumi e i rifiuti tossici, riversati nel fiume di Sainte-Bob. Il livello di inquinamento è talmente alto che i pesci muoiono e le persone si intossicano: «Riguardo ai pesci morti, certo, lo ritenevo un assassino. Ma non meno di me o Thomas, non meno di un qualsiasi impiegato della Camex-Largaud, non meno del più piccolo negoziante della città. Tutto qui. Eravamo invischiati in questa situazione da talmente tanto tempo che preferivamo non pensarci». Il Ministero dell’Ambiente manda un ispettore, Brasset, che si ritroverà sequestrato e chiuso in una baita, ad opera di Patrick e di Marc, entrambi operai della fabbrica. La Camex-Largaud, fonte di reddito per tutto il paese, era troppo importante per essere chiusa. Nella baita si ritrovano anche Thomas, Jackie e l’insegnante di inglese, coinquilina di Patrick, mentre fuori imperversa un violento diluvio e il fiume inquinato si gonfia, diventando sempre più minaccioso. Con le finestre serrate pensano di essere al riparo: ma è all’interno della baita che si consuma l’apocalisse. In mezzo a candele, manicaretti e bevande raffinate, i personaggi iniziano a scaricarsi addosso a vicenda la propria insoddisfazione, ciascuno tenta di colpire l’altro nel suo punto debole: mariti e mogli, amanti, amici, tutti vi prendono parte. Emergono le frustrazioni, le recriminazioni, i desideri mancati.

Assassini, chi sono gli assassini? La risposta, con questi elementi, potrebbe sembrare tra le più banali. Ma poi si legge: «Mi sono sempre chiesto se la vita offra davvero una possibilità. Vorrei proprio sapere se sono stato io incapace di coglierla o se non si è presentata affatto». Ci si accorge che c’è qualcos’altro. E senti il senso di colpa che striscia nello stomaco, fluisce come il fiume di Sainte-Bob, le dita che sfogliano, inquiete, il rumore materico.

«Un assas­sino è chi uccide una vita che avrebbe voluto vivere», ha detto Djian a la Repubblica. «Mel­ville diceva: “Resta fedele ai sogni della tua gio­vi­nezza”. Pur­troppo capita molto rara­mente. Siamo tutti degli assas­sini. Ucci­diamo len­ta­mente la per­sona che non riu­sciamo a essere».

Assassini, chi sono gli assassini? La risposta l’ha data Djian. Forse.

 

(Philippe Djian, Assassini, Voland, traduzione di Daniele Petruccioli, 2012, pp. 106, euro 14)

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