“Gli imperi tremano” di Jacek Dukaj

di / 19 novembre 2012

La storia, si sa, è un gioco al rialzo tra vincitori e vinti e l’asticella tende sempre verso i primi. Poi capita che la sconfitta arriva quando meno te l’aspetti, quando per te – giovane bambino di un opulento paese occidentale – Ivan Drako è più figo e più forte di Rocky Balboa, quando gli atleti massicci e dagli occhi impenetrabili dell’Est, luogo imprecisato che un tempo significava essere lontanissimi, erano gli eroi delle Olimpiadi e il rosso delle divise e quei simboli e quelle bandiere con la falce e il martello sventolavano sui ricordi della nostra infanzia e ci facevano propendere, a Risiko, per i carri armati rossi, i più voluti, i più desiderati da tutti. Tutti rossi perché “a giocare col nero perdi sempre” e nella nostra testa non v’erano Gorbaciov, muri, dittatori, patti segreti e patti violati.

Nel Millenovecentottantanove noi bambini del tempo non ci stavamo accorgendo, non ci potevamo accorgere, che tutto stava cambiando: chissà, se l’avessimo saputo al tempo, se saremmo stati felici o tristi del crollo dell’Unione Sovietica, di quell’impero rosso che sta lì lì per battere l’America, vigliacca e prepotente. Poi la scuola ti dice di Stalin, dell’Ungheria, di Praga, dei gulag e capisci che, in fondo in fondo, c’è qualcosa che non va, che sì certo Hitler è sempre Hitler e Mussolini è un esaltato, ma la merda è anche lì, in quei posti lontani che non sono altro che freddo, balletti e un manipolo di scrittori un po’ grafomani. 

Ti capita persino di leggere Dick, e di capire che la storia “con i se e con i ma”, quella che il professore diceva sempre che non poteva esistere, esiste eccome, se si inventa. E allora Hitler ha vinto la guerra e il mondo – dio ce ne scampi – è persino un posto peggiore di quello in cui viviamo oggi, la svastica è nel sole, ad illuminarci di luce grigia e opaca.

Ma la Germania che vince la guerra, non la voglio vedere. Neanche per finta. E non la vuole nessuno. Meglio tornare indietro, all’infanzia: si rialza il muro e il rosso torna rosso.   Questo è il meccanismo di Jacek Dukaj, meravigliosa penna di quella terra chiamata Polonia: Gli imperi tremano (Transeuropa, 2012) è infatti una pagina di storia piena di “se”.

Ebbene sì: i sovietici hanno vinto la guerra fredda, l’Urss esiste ancora, non sono sorti Ikea a Berlino Est (Goodbye Lenin docet). Reinventare per guardare oltre: fanta-politica, fanta-scienza, fanta-sia. La Russia è viva e vegeta. E comanda. E se c’è un dominante c’è anche un dominato: e Resistenza sia.

Resistenza e guerra e sangue e di nuovo resistenza. Perché l’Impero è impero totalitario e come tale va combattuto. E chi combatte contro il Mostro Rosso? Un gomitolo di uomini, polacchi di provenienza e di spirito, che vanno sotto i nomi di Xavras Wyzryn (impronunciabile) e Ian Smith.

Ciò che calpestano è uno spazio doloroso, una terra dilaniata dal freddo ma soprattutto dalla guerra, ma s’innalzano verso un ignoto futuro, che si auspica possa essere un valido contenitore di volontà. Ma soprattutto di libertà.


(Jacek Dukaj, Gli imperi tremano, trad. di Francesco Annicchiarico, Transeuropa, 2012, pp. 168, 13.50 euro)

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