“L’uomo che viaggiava con la peste” di Vincent Devannes

di / 8 dicembre 2012

L’uomo che viaggiava con la peste (Neo Edizioni) è il feroce esordio dell’autore francese Vincent Devannes. Per capire meglio qual è la peste, quali sono lo scenario e il contesto in cui si muove il protagonista di questo libro occorre fare una premessa su una pagina di storia davvero controversa.

Operazione O.D.E.SS.A. Ovvero: Organisation Der Ehemaligen SS-Angehörigen. Tradotto: Organizzazione degli ex-membri delle SS. Questo acronimo diventa famoso nel 1972, quando l’autore di best-seller Frederick Forsyth, con la consulenza di Simon Wiesenthal, sopravvissuto all’olocausto e successivamente conosciuto come il “Cacciatore di nazisti”, pubblica il thriller Dossier Odessa, poi divenuto omonimo film nel 1974.

Ma che cosa è l’Operazione Odessa? È il piano di fuga e salvataggio delle gerarchie naziste, pianificato dopo lo sbarco in Normandia, quando i più realisti membri realizzano l’imminente disfatta. Destinazione: Sud America. Lì trovarono rifugio personaggi del calibro di Martin Bormann – capo della cancelleria del NSDAP e braccio destro del Führer –, Heinrich Müller – capo della Gestapo –, Adolf Eichmann – tra i principali esecutori della Soluzione finale –, Erich Priebke, e l’“angelo bianco di Auschwitz”, il dottor Josef Mengele. E non tutti sono stati scovati dai servizi segreti americani e israeliani.

Tenendo presente tutto questo, Devannes dà vita a un romanzo nero e torvo che disegna un affresco marcio e violento di quella che era la Buones Aires degli anni ’50 invischiati nei loschi affari post bellici. E non solo.

Il protagonista inizialmente è anonimo. Spaesato e sballottato su una nave per immigrati. Ma già da subito capiamo che la colpa che lo opprime è terribile e insopportabile, sicuramente legata al conflitto mondiale concluso da poco. La ghigliottina di questo rimorso rimarrà puntata sul personaggio per tutto il libro, creando un’avvincente suspance. Appena accolto da un rappresentante del clero, verrà battezzato Albert Dallien. Finita la registrazione alcuni suoi agganci sul posto gli procureranno il peggior lavoro possibile da svolgere all’interno di un bordello gestito dalla mala polacca: praticare gli aborti alla prostitute rimaste incinta. Come un pugno nello stomaco, Devannes descrive con minuzia di particolari l’apprendistato di Dallien. Ma questo è solo l’inizio. Perché Dallien finirà per innamorarsi di una delle sue pazienti. E di pari passo conoscerà sempre più a fondo la vita e le abitudini dei cittadini che popolano le strade della città, aggiungendo quel tocco noir che rende il libro ancora più gradevole. Lentamente il passato e il motivo per cui il protagonista veniva soprannominato in Europa il “Cane di Châtellerault”, verranno a galla. Insieme alle amanti, i criminali e i controversi attori di quell’Argentina malata e corrotta, che fa da sfondo all’Operazione Odessa, di cui quest’opera rimarca in maniera vivida i colori e gli odori.

Così, L’uomo che viaggiava con la peste, è il classico romanzo che ti cattura e non ti fa scappare. Storia e fiction si fondono alla perfezione, e ogni personaggio brilla per spessore e impatto. Dallien su tutti: è un protagonista quasi muto, che non parla, che per capirlo devi vedere come agisce, ciò che fa. Le scelte che prende lo qualificano, nel bene e nel male. La prosa di Devannes è asciutta, tesa, forse in alcuni momenti troppo fredda, ma sicuramente perfetta per far calare il lettore nella palude umana del libro. Anche perché la peste del “Cane di Châtellerault” è la peste della Storia. È anche la nostra.

 

(Vincent Devannes, L’uomo che viaggiava con la peste, trad. di Camilla Diez, Neo Edizioni, 2012, pp. 192, euro 15)

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