“Chiòve” di Pau Mirò
di Luca Errichiello / 10 gennaio 2013
Calze sfilate e un vestitino blu elettrico poco sopra. Ci si arrampica su fianchi stanchi, il seno va messo in risalto e il cliente compiaciuto ma non troppo, perché bisogna pur esser lente per far trascorrere tempo, se il tempo coincide col denaro. Succede talvolta che questi gesti diventino improvvisamente veloci, affrettati, non più cadenzati e danzanti, ma incespichino gli uni sugli altri, come bambini in fila in attesa di dolciumi. Troppi movimenti si affollano, specchi di pensieri che non riescono più ad esser filtrati. Si affollano pezzi d’amore in una lorda camera dei Quartieri Spagnoli di Napoli. Eccoli tracimare dalla finestra, in cerca di un modo per fuggire, magari sulle ali di un gabbiano inoltratosi all’interno dei vicoli più colmi d’ombra. I pensieri e i gesti rotolano un po’ ovunque nella camera, ma solo i secondi appaiono al cospetto di colui che tutto ciò ha scatenato. Un cliente dall’aspetto gentile, ricercato, ma anche colmo di dolore per la morte della moglie. Gli anni sono trascorsi e un semplice cliente è stato capace di affrettare i gesti della prostituta che si fa chiamare Lali (Chiara Baffi). Eppure era stato messo del denaro tra l’uno e l’altra. A cosa possono mai servire i vestitini e le parrucche, gli smalti e i tacchi alti, se non a creare quella seduzione che nel suo palese eccesso misura la distanza contrattuale tra cliente e prostituta? Nessuna distanza è forse mai bastata per negare l’intimità che lega due sofferenze così diverse. Quella di una donna che vede la sua immaginazione relegata tra le poche righe di frasi di Baci Perugina. Quella di un uomo che è ormai così distante dalla calda corporeità delle dinamiche amorose da potersi permettere solo l’osservazione di una prostituta.
Davide (Enrico Ianniello) non ricercava certo il Ballantine’s scadente di Lali e forse nemmeno il suo corpo martoriato dalle continue sottolineature della sua carnale bellezza. Forse stava semplicemente cercando quello scarto di sé che finisce per essere così prezioso quando lo spoglio reale dell’essenza di ciascuno emerge. Simmetricamente si pone Carlo (Carmine Paternoster), compagno di Lali: un uomo che vive con/di un rasoio legato a un braccio. Rabbia incompiuta che sa di cheeseburger. Rabbia irrisolta che nel sorriso di Lali trova il suo balsamo. Quanto stabile è questo sistema amoroso? Più di quanto si possa credere, sarà la risposta del regista Francesco Saponaro.
Se è vero che Lali cambierà, è pur vero che il suo ruolo di ago della bilancia è scritto sul suo corpo, che continuerà ad urlare la sua innocenza, la sua spontaneità. Incarnare queste ultime dimensioni del personaggio di Lali è senza dubbio il compito più arduo e allo stesso tempo più riuscito di Chiara Baffi. Una recitazione attenta e meticolosa invece quella di Enrico Ianniello e Carmine Paternoster, che riescono abilmente a tracciare il solco in cui far scorrere tutta la straripante vitalità che deve mantenere Lali.
Si assiste dunque a un lavoro corale, suggestivamente quanto semplicemente articolato da Saponaro, alle prese con la crescente tensione tra i due poli maschili della messa in scena. Se le strade personali convergono dunque verso un prevedibile scontro tra maschi per il controllo della femmina di turno, il testo di Pau Mirò sa sfuggire alla retorica per approdare a una soluzione delle dinamiche amorose che inizia a luci accese e sa farsi veramente comprendere solo a luci appena spente.
Chiòve
di Pau Mirò
regia di Francesco Saponaro
con Chiara Baffi, Enrico Ianniello, Giovanni Ludeno e Carmine Paternoster.
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