“Il nipote di Rameau” riletto da Silvio Orlando

di / 28 febbraio 2013

Iniziamo con l’inizio visto con gli occhi della fine: «I miei pensieri sono le mie puttane». Una frase che un testo settecentesco di Denis Diderot lascia scivolare sul palco, come una moneta rotolata per caso fuori da una tasca troppo piena. Il nipote di un celebre compositore, un aristocratico e una cameriera si contendono la proprietà della proposizione. Probabilmente non esiteremmo nemmeno per un attimo nella scelta del creatore di questa frase se conoscessimo il primo personaggio: un mellifluo adulatore di signorotti, vissuto all’ombra del suo ben più celebre zio, decanta i vantaggi della piaggeria e sembra, con le sue parole, immiserire l’uomo e il suo pensiero. Non ostenta cultura né tenta di rimarcare la grandezza dell’intelletto umano questo personaggio a cui Diderot diede il nome di “nipote di Rameau”. Un senza nome dunque, che parla per chi non sa parlare o magari non vuol parlare. Parla per la folla di lusingatori che cova ogni giorno nei salotti più signorili, ma anche per chi ha semplicemente scelto di porre al di sopra di ogni altro imperativo quello della soddisfazione dei più carnali istinti.

La parola e il pensiero, per il nipote di Rameau (Silvio Orlando), sono esclusivamente funzionali all’adulazione, ai più triviali corteggiamenti, o al massimo al prevalere in filosofiche dispute da osteria, come quella che ingaggia con l’aristocratico (Amerigo Fontani). Quest’ultimo è distinto, acculturato, sofisticato, uomo di alti ideali, di tenace fede nell’umanità e nelle sue potenzialità. C’è poi una docile e sognatrice cameriera (Maria Laura Rondanini), che come una trottola ruota tra le mani dell’adulatore.

Tornando all’incipit de Il nipote di Rameau non si potrebbe non pensare a questo punto che sia stato il personaggio che dà il titolo all’opera a formularlo. Eppure non è così. L’inizio dell’opera di Diderot prevede la digressione preliminare dell’aristocratico. Rileggendo il testo la frase spicca rapida e perturbante in mezzo alla descrizione delle placide giornate del ricco possidente. Contemporaneamente il nipote di Rameau svolge la sua pantomima epicurea, ma con sagaci argomentazioni smonta pezzo per pezzo l’apparente fermezza morale dell’altro. Si percepisce sempre più una corrispondenza tra il turpe e il nobile, come se l’uno fosse solo l’atra faccia dell’altro. Il disgusto del nobile è presto soppiantato de un vivo e partecipato interesse, a tratti un vitale bisogno, per le argomentazioni dell’adulatore. Diderot capovolgerà dunque la prospettiva, deturpando l’immagine del nobile ideale, sostituendola con quella del più reale cortigiano.

A ben vedere tutto questo era in piccolo già successo, per un breve istante, proprio nel bel mezzo di quell’apparentemente placida presentazione iniziale.

Si trova forse proprio in questi dettagli il valore di un testo a lungo non rappresentato in Italia. La messa in scena di Silvio Orlando, in questo caso attore e regista, rende ancora più marcata la focalizzazione sul protagonista, dominatore assolutamente incontrastato del palco. Le luci infatti sono sempre funzionali alla definizione dello spazio scenico del personaggio, le musiche ne sottolineano i racconti goliardici. Gli oggetti di scena sembrano anch’essi ruotare attorno al nipote di Rameau, che con il suo tocco dà loro vita. Forse è proprio questa estrema univocità a determinare un lieve calo nell’interesse per il personaggio principale, che tuttavia riprende ogni volta la propria cangiante forma grazie alla sottigliezza del testo diderotiano.


Il nipote di Rameau
di Denis Diderot
regia Silvio Orlando
con Silvio Orlando, Amerigo Fontani, Maria Laura Rondanini

Prossime date:
Teatro Elfo Puccini, Milano – dal 26 febbraio al 10 marzo 2013

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